INTERNAZIONALE

Il governo somalo perde pezzi: è appeso solo agli etiopici

MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

Diventa ogni giorno più grave la crisi che scuote il governo di transizione somalo (Tfg). Insediato a Baidoa, città di provincia a 240 chilometri dalla vera capitale, Mogadiscio - da giugno in mano all'Unione delle Corti Islamiche - il governo controlla solo la città in cui ha sede, necessitando peraltro del supporto militare della confinante Etiopia per scongiurare un attacco degli islamisti.
Ormai i contrasti sono arrivati sin dentro Baidoa e il suo esecutivo. Infatti, non è bastato al primo ministro Ali Gedi uscire indenne dalle dimissioni di 18 ministri, dall'uccisione del ministro per gli Affari federali e costituzionali e da una mozione di sfiducia agli inizi di settimana. Le defezioni all'interno del governo sono aumentate, e ieri il numero di ministri dimissionari è salito a 38. I politici che hanno preso le distanze da Gedi sono contrari alla sua politica nei confronti delle Corti islamiche. Vogliono riaprire il dialogo con gli islamisti padroni di Mogadiscio e di gran parte del sud del paese, e per arrivare al tavolo dei negoziati chiedono il ritiro delle truppe etiopiche da tempo di stanza nella sede del Tfg e in altre città frontaliere della Somalia. «Il nostro governo deve essere un governo di riconciliazione. E il primo ministro, rifiutando il dialogo con le Corti, non sta onorando questo nostro compito prioritario», ha spiegato il ministro della Salute Abdi Aziz Sheikh Yusuf, uno dei ministri che ieri hanno rimesso il proprio mandato. Sono proprio la mancanza di dialogo con le Corti, e la totale soggezione al potente vicino etiopico (visto come potenza regionale «cristiana») le motivazioni principali che stanno spingendo Gedi verso un pericoloso imbuto politico.
A rendere ancora più preoccupante la situazione a Baidoa, è giunta la notizia della defezione di altri 50 miliziani fedeli al Tfg, che ieri hanno abbandonato la capitale provvisoria per entrare nei ranghi degli islamisti, imitando ciò che avevano fatto 150 «soldati» del Tfg agli inizi di luglio.
Stando alla radio somala Shabele, infatti, i miliziani, addestrati da consiglieri militari etiopici nei campi di Manas e Deynunay, avrebbero raggiunto le milizie delle Corti, portando con sé anche alcuni mezzi militari. I disertori sono stati accolti dal capo delle operazioni militari di Mogadiscio, Sheikh Muktar Roobow, che ha affermato: «Scappano da una colonia etiope in terra somala, non possiamo fare altro che dare a questi uomini il benvenuto». E la motivazione addotta per spiegare la defezione è stata proprio quella della presenza di truppe di Addis Abeba su suolo somalo. Uno di quelli che se ne sono andati ha infatti raccontato: «Noi siamo musulmani e non possiamo stare con gli infedeli e con il governo filo-etiope e filo-cristiano di Baidoa. Dobbiamo invece puntare le nostre armi per difendere la nostra patria e la nostra religione».
Ma ormai la crisi sembra avere raggiunto i massimi vertici del potere all'interno del governo provvisorio. Infatti, in totale divergenza d'opinioni rispetto al primo ministro, sia il presidente Abdullahi Yusuf, sia il portavoce del parlamento, Sheikh Aden, si sono detti favorevoli all'invio di una delegazione governativa a Khartoum, in Sudan, dove dovrebbe tenersi il prossimo giro di colloqui tra le parti per la pace in Somalia. In tutta risposta, il portavoce del governo, Abdirahman Dinari ha affermato che non vi è alcuna ragione per inviare esponenti governativi a Khartoum. «Non so cosa voglia fare il presidente del parlamento. Sheikh Aden non ha nessun mandato per rappresentare il governo», ha dichiarato Dinari.
Di rimando, a Mogadiscio, le Corti osservano compiaciute il progressivo disfacimento del Tfg, pronte a raccogliere i frutti dei dissensi interni a Baidoa. Il leader islamista Sheikh Hassan Daihr Aweis hs ribadito ancora ieri che per le Corti è imprescindibile il totale ritiro delle truppe etiopiche, prima che si possa riprendere a negoziare. «Apprezziamo il passo compiuto dai ministri dimissionari - ha affermato Aweis -. E' colpa dell'atteggiamento politico del primo ministro Gedi». Gedi che ora guida un governo con metà dei ministri dimissionari, e che può contare quasi soltanto sull'appoggio «esterno» del suo alleato più fidato, Addis Abeba.

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