Riprende fuoco la crisi somala. Ieri mattina a Baidoa, città sede del governo federale di transizione (Tfg) ma ormai sotto controllo delle forze etiopiche, è stato freddato, all'uscita dalla preghiera del venerdì, Abdullah Deerow Isaq, ministro per gli Affari federali e costituzionali. Il ministro dell'informazione Mohamed Hayr punta il dito contro i militanti islamici, che ribattono accusando l'Etiopia, al fine di destabilizzare ulteriormente il paese. L'uccisione ha scatenato disordini e saccheggi in città, aumentando l'instabilità nella capitale provvisoria, dopo che giovedi 18 membri del Tfg avevano deciso di uscire dal governo, avanzando una mozione di sfiducia nei confronti del primo ministro, Ali Gedi.
Gedi è considerato troppo vicino all'Etiopia, che da alcune settimane ha dispiegato truppe in Somalia per difendere il governo di transizione e i propri interessi. Proprio la presenza dei soldati di Addis Abeba impedisce, secondo l'Unione delle Corti islamiche - che da giugno controllano Mogadiscio e il sud del paese-, la ripresa dei colloqui di pace tra islamisti e Tfg.
Le dimissioni in massa, secondo alcuni analisti, sarebbero insomma un tentativo di alcune forze interne al Tfg di dialogare con le Corti, cercando di estromettere Gedi, o almeno di convincerlo a invitare gli islamisti a entrare nell'esecutivo. Ma il primo ministro non sembra disposto a cedere. Di certo, il dispiegamento di militari etiopici a difesa di Baidoa e in altre città somale (confermato mercoledi dall'inviato per la Somalia dell'Onu, Francois Fall) divide il governo e fa crescere i timori per una possibile escalation regionale. La situazione sul terreno è infatti molto delicata. A contribuire a scaldare gli animi giungono ripetute notizie di atterraggi di aerei cargo ucraini senza insegne (quasi certamente provenienti dall'Eritrea) all'aeroporto di Mogadiscio. «Siamo certi che i cargo trasportano rifornimenti di armi per gli islamisti», ha dichiarato da Baidoa un ufficiale governativo. Addis Abeba accusa l'Asmara di «lavorare al fianco di al Qaeda».
Crescono dunque i timori che la Somalia possa trasformarsi nel teatro di una guerra per procura tra Etiopia e Eritrea, acerrimi nemici ormai dal conflitto frontaliero del 1998, che durò due anni e costò la vita ad almeno 80 mila persone. Addis Abeba non vuole in Somalia un governo islamico radicale e da sempre sostiene il governo di Baidoa del presidente Yusuf, riconosciuto dalla comunità internazionale. Di rimando cresce il supporto strategico e militare eritreo nei confronti dei nuovi padroni di Mogadiscio. Da mesi si rincorrono le voci sulla presenza di consiglieri militari nella capitale somala, mentre un rapporto dell'Onu sostiene che molta parte delle forniture di armi alle Corti provengano da Asmara, in palese violazione dell'embargo sulle armi che anche l'Etiopia starebbe eludendo, rifornendo di attrezzature militari il governo di transizione. Ad alimentare i timori su un'estensione del conflitto, sono giunte da Asmara le parole del portavoce del ministero degli esteri, secondo il quale anche l'Eritrea è pronta a schierare truppe in Somalia a difesa della propria sicurezza nazionale.
Resta alto il rischio che la situazione precipiti, portando a un quadro simile a quanto accaduto anni fa in Congo, quando gli eserciti di tutti gli stati confinanti entrarono nel paese, alcuni supportando il governo, altri le milizie ribelli, al fine di difendere i propri interessi e per ridiscutere gli equilibri geopolitici dell'area. Con, in aggiunta, la motivazione religiosa. Di fronte a tutto ciò, una debole Unione africana (Ua) ha rinnovato l'invito a perseguire il dialogo e a collaborare con il governo provvisorio per giungere a una pace stabile che permetta la riconciliazione in Somalia, partecipando ai colloqui di pace previsti agli inizi di agosto a Khartoum. L'Ua ha anche invitato a accelerare le procedure per il dispiegamento della missione di peace-keepers dell'Igad (l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo che riunisce i paesi dell'Africa orientale), senza tenere conto dell'evidente impossibilità a praticare quest'opzione.
Si viaggia velocemente verso il caos, la situazione umanitaria in tutta la Somalia rimane disperata. In queste condizioni è impensabile dispiegare un efficace programma di aiuti civili.