LETTERE

Il grande Medio Oriente, strategia a misura Usa

l'opinione
MARTONE FRANCESCO,

C'era d' aspettarsi un ritorno in grande stile di Washington in Medio Oriente. Per farlo Condy Rice ha dispiegato tutte le armi negoziali a sua disposizione. Prima di tutto ha rispolverato il vecchio piano del Grande Medio Oriente proposto al Vertice del G8 di Sea Island, 2003 . Allora Il piano non piacque alla Lega Araba che non gradiva l'imposizione di un modello di democrazia eterodiretto, né alcuni degli alleati di Washington, Francia in testa, gradivano l'ipotesi che la Nato fornisse forze di pacificazione e la cornice di sicurezza necessaria agli Usa per seguire le sue ambizioni strategiche in Medio Oriente.
Allora si fece riferimento alla Partnership for Peace, all'Osce ed alle iniziative di Helsinki, come a prefigurare l'ipotesi dell'esistenza di un nuovo blocco contrapposto all'Occidente , non più quello comunista bensì quello islamico, dai contorni geografici non meglio stabiliti. Nei giorni scorsi la Rice ha rilanciato il concetto: gli Usa vogliono un Nuovo Medio Oriente, grande quanto quello iniziale, con le stesse ambizioni. Anche Olmert ci ha messo di suo: nel discorso reso alla Knesset il 17 luglio scorso ha ammesso che la campagna militare non è contro le organizzazioni «terroristiche» in Libano e Gaza, ma contro l'Asse del Male che si estende da Teheran a Damasco: «Distruggeremo ogni infrastruttura terrorista che minacci Israele, ovunque essa sia».
La retorica dell'Asse del Male si sposa con l'allargamento dei confini fisici della guerra al terrorismo, a comprendere appunto il Grande Medio Oriente. Dal 2003 altre cose sono andate in evoluzione soprattutto alla Nato. L'Alleanza si è impegnata per la prima volta all'esterno della sua area e della sua missione, formando il contingente Isaf che oggi combatte in Afghanistan. Ha un programma di addestramento per le forze armate irakene, creato una forza di Reazione rapida. Ha allargato il suo programma di dialogo Mediterraneo con i paesi del Medio Oriente, ed oggi guarda ad un maggior impegno politico e militare nella zona. Come dice chiaramente in un suo scritto sull'argomento Philip Gordon, del Centro Di Studi Strategici degli Emirati, «La Nato è coinvolta in maniera crescente in Medio Oriente perché è lì che esistono le crisi, (...) e la Nato sopravviverà solo se riuscirà ad affrontare le attuali crisi di sicurezza dei suoi membri. E la maggior parte di queste sfide sono nel Grande Medio Oriente».
Per consolidare il suo ruolo di alleanza militare ma anche - e soprattutto - politica, la Nato ha bisogno di dimostrare di essere più efficace ed efficiente dell'Onu. Come se non fossero bastati decenni di violazioni delle risoluzioni Onu, il fido John Bolton, dal suo seggio al Consiglio di Sicurezza ha mandato a dire che la tregua proposta da Kofi Annan può essere accettata solo dopo il termine delle operazioni militari. Via libera alle bombe, dunque, anche se qualcuna poi è caduta su un avamposto Unifil per dimostrare l'incapacità e la vulnerabilità della presenza dei Caschi Blu. Ben altra cosa serve per disarmare le milizie Hezbollah con la forza. Ed ecco il terzo asso nella manica di Condy, una strategia a due fasi, con l'invio di un contingente militare multinazionale sotto comando Nato, di 10 mila effettivi turchi ed egiziani che poi verrebbe sostituito da una forza multinazionale nel cuscinetto di sicurezza aperto dall'offensiva israeliana. Scompare così l'ipotesi iniziale di una forza europea ed Onu di interposizione che avrebbe dovuto vigilare sul cessate il fuoco, piuttosto che provvedere manu militari al disarmo delle milizie Hezbollah. Un disarmo che dovrebbe avvenire nell'ambito di un approccio diplomatico-negoziale, piuttosto che con la forza bruta delle armi. Per ricapitolare: parte un'iniziativa dal G8 di San Pietroburgo, che passa attraverso le maglie del Consiglio di Sicurezza, viene trasformata da forza di interposizione a forza militare di guerra, si chiama in causa la Nato che Israele accetterebbe di buon grado, con gran pace di chi anche a casa nostra invoca la sua entrata nell'Alleanza Atlantica. La Nato si mette a disposizione, gli Usa riesumano il vecchio Piano per il Grande Medio Oriente, ed il gioco è fatto. Israele avrà qualcun altro a combattere la guerra per procura contro l'Iran, che tutti vorrebbero isolare dalla Siria, e potrà concentrarsi direttamente su Teheran. Gli Usa rientrano in grande stile, come gran burattinaio delle politiche in Medio Oriente. L'Europa continua a perdere drammaticamente, mentre sussiste il rischio concreto che qualche decina di migliaia di suoi soldati vadano a sud del Libano a fare esattamente quello che la Nato sta facendo ora ad Helmand e dintorni. Un'ipotesi che il Governo ed il Ministro D'Alema devono scongiurare immediatamente, non solo decidendo di non partecipare con proprie truppe, ma anche e soprattutto facendo sì che la Nato non venga trascinata in questa nuova, tragica avventura, per il bene dell'Onu, dell'Europa e della pace.

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