La capitale etiopica, Addis Abeba, è spazzata in questi giorni da forti piogge. La gente trova riparo nei caffè, aspettando di rientrare a casa dal lavoro, mentre le strade spesso si trasformano in fiumi marroni di acqua e melma. Un clima che non ha nulla a che spartire con la confinante Somalia, che dall'altopiano abissino sembra lontanissima. Come lontani sembrano rimanere i venti di guerra. Infatti, mentre tutti i media internazionali raccontano di massicci e crescenti sconfinamenti di truppe etiopiche in territorio somalo, la stampa locale continua a ignorare il problema. Di conseguenza, la popolazione non sa nulla dell'escalation militare tra Etiopia e Somalia. Bisogna recarsi nel quartiere di Mikael, dove è forte la presenza di rifugiati somali, per raccogliere opinioni su ciò che sta accadendo.
«La mia famiglia vive a Baidoa, la sede del governo di transizione (Tfg)», racconta Oudah, trent'anni, rifugiata in Etiopia da dieci. «Ho parlato con loro ieri sera. Sono preoccupati, hanno timore che l'ingresso di nuove truppe etiopiche nei dintorni della capitale porti presto a uno scontro armato». Il governo di Addis Abeba, però, continua a negare ogni sconfinamento. Un portavoce del ministero degli esteri etiope ha raccontato ieri al manifesto che «non vi sono novita' di rilievo. Il nostro paese ha intenzione di aiutare il popolo somalo, e il Tfg. Ma nessun nostro soldato al momento si trova al di là del confine».
In realtà, fonti attendibili della comunità internazionale, a condizione di anonimato, riferiscono che «almeno 4.000 militari sono entrati in Somalia negli ultimi giorni, rinforzando le difese delle infrastrutture di Baidoa e posizionandosi a Fer Fer, una località oltre il confine sulla strada per Mogadiscio nonché nella città di Waajid, dove hanno preso possesso dell'aeroporto». In risposta all'avanzata etiope, anche oggi nella capitale somala è stata organizzata una manifestazione. Alcune migliaia di persone hanno bruciato bandiere etiopi nello stadio di Mogadiscio, inneggiando alla jihad, la guerra santa contro lo storico nemico etiope. A margine del corteo Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, uno dei leader del nuovo potere di Mogadiscio, ha dichiarato che le milizie islamiste sono pronte a combattere gli invasori non appena lo riterranno opportuno. «Stiamo tentando di convincere la comunità internazionale a evitare un massacro. Chiediamo urgentemente all'Etiopia di ritirare le proprie truppe dalla Somalia. La nostra pazienza non sarà infinita», ha urlato alla folla. Nel frattempo, i colloqui di pace previsti a Khartoum, in Sudan, tra rappresentanti delle Corti e del Tfg, sono sospesi.
Notizie poco confortanti sembrano intanto giungere anche dal Kenya, altro paese della regione che confina con la Somalia. Secondo fonti diplomatiche anche le truppe di Nairobi avrebbero sconfinato. Ma l'ambasciatore keniota a Addis Abeba ha raccontato al manifesto che «si tratta di pura immaginazione. Ciò che invece abbiamo richiesto è un incontro urgente degli stati membri dell'Igad (l'autorità intergovernativa per lo sviluppo che riunisce i paesi dell'Africa orientale, ndr) poiché, come tutti i governi della regione, seguiamo con estrema attenzione gli sviluppi della situazione».
Mentre le diverse controparti continuano a rimbalzarsi accuse e provocazioni, la Somalia sembra sull'orlo di una guerra che potrebbe trasformarsi in un conflitto regionale dagli sviluppi imprevedibili, stanti anche le ripetute accuse da parte etiope circa un forte coivolgimento dell'Eritrea nelle vicende somale, con Asmara che starebbe sostenendo massiciamente i nuovi padroni di Mogadiscio, almeno in termini di rifornimenti militari.