Non c'è Ousmane Sow: ma a lui il Musée Dapper aveva già dedicato una personale, Les Trois premiers bronzes d'Ousmane Sow, nel 2001; e poi con le sue imponenti figure Sow nella capitale francese è ampiamente acquisito, dopo aver avuto nel '99 il meritato onore di una esposizione sul Pont des Arts, di fianco al Louvre, che nel suo genere ha fatto epoca. C'è invece Ndary Lo: di cui il Dapper aveva già ospitato una mostra, L'Art en marche de Ndary Lo, nel 2002. Da una ventina d'anni riferimento sicuro per l'arte tradizionale africana, con una collezione permanente e una intensa attività di mostre a tema, il Dapper da qualche anno si concede anche delle puntate nell'arte dei giorni nostri che appaiono ormai sempre meno delle eccezioni, e, se si deve ora giudicare anche da Sénégal contemporain, prima collettiva di artisti di oggi dell'Africa nera proposta dalla prestigiosa istituzione parigina, in questo interesse sembra riservare un'attenzione particolare per la patria di Sow e Lo. Francophonie oblige, naturalmente: l'ex presidente della repubblica, Abdou Diouf, è il segretario generale della francofonia. Ma per quest'occhio di riguardo per il Senegal non mancano anche diverse ragioni di merito.
Artisti come Sow e Ndary Lo sono due dei valori più sicuri nel campo della scultura e più in generale dell'arte africana attuale, così come lo è stato il compianto Moustapha Dime, di cui la mostra propone un significativo florilegio di sculture degli anni novanta. L'emergere del Senegal come uno dei poli principali della ricerca nelle arti figurative contemporanee del contienente nero risale all'impulso alla creazione artistica dato da Senghor negli anni successivi all'indipendenza, un appoggio da cui nasce la - peraltro controversa - «scuola di Dakar». Negli anni novanta, grazie al temperamento di uomini come appunto Dime (1952-1998), Il Senegal si afferma, in particolare assieme alla Costa d'Avorio e alla Nigeria, come uno dei paesi trainanti nel campo della nuova arte africana. A sostenere e valorizzare la produzione artistica senegalese nel '96 arriva la seconda edizione di Dak'Art, che dopo una prima edizione ad indirizzo letterario si trasforma in biennale dedicata alle arti figurative: mentre altre biennali africane, sulla carta anche con maggiori potenzialità, nascono e muoiono (Cairo, Johannesburg), Dak'Art ha retto, e fra maggio e giugno di quest'anno è arrivata alla settima edizione. Più in generale, pur con tutti i limiti della situazione politico-sociale pre e post vittoria dell'opposizione nelle presidenziali del 2000, il Senegal e una città come Dakar assicurano un clima favorevole alla creazione artistica. Tutti fattori che concorrono a far sì che le forze vive dell'arte contemporanea senegalese risiedano e operino nel loro paese, non appaiano particolarmente affannate ad inseguire le tendenze più à la page della produzione artistica di oggi, e mostrino nell'insieme, come la collettiva del Dapper testimonia, una consistente propensione al lavoro sulla materia e sull'innovazione delle forme. A cui si aggiunge un forte rapporto con problematiche locali, espresse però con una forza che riesce spesso ad elevarle ad una dimensione universale: le inquietanti, gigantesche zanzare fatte di bottiglie, tessuto e filo di ferro di Jules Sagna che accolgono il visitatore all'ingresso dell'esposizione. Interessante notare come l'arte contemporanea del Senegal, benché la cultura tradizionale wolof (l'etnia dominante) non si sia distinta nel campo della scultura e delle maschere, manifesti una forte tensione all'espressione scultorea. Mustapha Dimé, di cui l'esposizione presenta alcune essenziali, icastiche sculture realizzate in legno (spesso calebasse, le mezze zucche utilizzate anche come recipienti per gli alimenti), ferro, corda e materiali vari, imparò con gli artigiano del legno di Louga, la sua città natale; Ousmane Sow prese confidenza con le forme umane come fisioterapista durante la lunga emigrazione in Francia; Ndary Lo, autodidatta, si è mosso sull'esempio di Dime e Sow. La scultura-installazione Les Os de mes ancêtres di Ndary Lo, con lunghe catene formate da un alternarsi di ossa e anelli metallici, allude ad un tema, quello della schiavitù, che gli è caro, e a cui Lo ha consacrato fra l'altro una folgorante installazione nella parte «off» di Dak'Art 2004, allestita in una esclaverie dell'isola di Gorée a pochi metri dalla più celebre Maison des esclaves (con una installazione dedicata a Rosa Parks, Lo è stato uno degli artisti più in vista delle esposizioni ufficiali di quest'ultima edizione di Dak'Art). Di forte suggestione un gruppo di personaggi in ferro e argilla di Cheikh Diouf. Notevoli anche i quadri figurativi di Amadou Camara Gueye e le tele di Soly Cissé, e di grande carattere il tratto espressionista dei carboncini di quest'ultimo (dedicati alle vittime delle inondazioni della fine 2005, dei grandi pannelli a carboncino di Cissé risaltavano fra le opere esposte nella parte ufficiale di quest'ultima Dak'Art; Cissé, classe '69, era rappresentato anche nell'esposizione Africa Remix). Le opere degli artisti viventi sono state tutte realizzate nel nuovo millennio. Eccellente il catalogo curato da Christiane Falgayrettes-Leveau, commissario della mostra, e da Sylvain Sankalé (120 pp., 19 euro). Sénégal contemporain rimane aperto fino al 13 luglio.