CULTURA

Nefertiti, storia di una regina egiziana contesa

DI GENOVA ARIANNA,

La regina Nefertiti, che tutti conosciamo per la sua bellezza perfetta immortalata nel busto che la ritrae, esposto al museo di Berlino, è un'icona contesa. Tremila e trecento anni dopo la sua morte, a pochi mesi dall'annunciata scoperta - tutta da verificare - della sua tomba con tanto di mummia regale, Nefertiti non fa dormire sonni tranquilli alle autorità tedesche né al capo della commissione delle antichità egizie Zahi Hawass, pronto a reclamare un ritorno in patria della sposa di Amenofis IV.
La sua è una battaglia dura, che chiama in campo anche l'Unesco. Non vuole indietro, naturalmente, tutto il patrimonio archeologico degli antichi egizi in giro per il mondo - sarebbe una follia - ma insiste affinché «i simboli dell'identità di una cultura» non siano più «esiliati» fuori dal territorio d'appartenenza. Fra le icone imprescindibili, Hawass ha inserito la Stele di Rosetta, che permise la decodifica dei geroglifici (oggi tesoro del British di Londra), lo zodiaco di Dendera (al Louvre) e il busto di Akhenaton (al Museum of Fine Arts in Boston). Intanto, Nefertiti avrebbe potuto tornare in Egitto in autunno, con una cessione temporanea, per una mostra che l'Istituto archeologico tedesco sta organizzando al Cairo, prevista per novembre 2006. In cambio, sarebbe stata offerta un'altra statua da esporre a Berlino. Ma la Germania, da parte sua, ha già risposto alla questione in maniera negativa: convocando una conferenza stampa sulla regina oggetto di litigi internazionali, ha rimandato al mittente la domanda di prestito e ha ribadito il possesso del ritratto. Nefertiti non compirà nessun viaggio all'estero. Secondo accordi dell'Unesco, le antichità portate fuori dall'Egitto prima del 1972, in modo legale, non possono rientrare nel loro paese di origine. E il busto di Nefertiti, scoperto nel 1912 dall'archeologo Ludwig Borchardt - il copricapo azzurro e la bellezza della scultura, seppure incompiuta, parlavano inequivocabilmente della sovrana - venne consegnato al finanziatore degli scavi, il banchiere Simon che nel 1921 lo donò a Berlino. Era un atto che lo studioso poteva compiere, dato che per legge gli era consentito tenere per sé la metà dei reperti trovati. Ma Hawass attacca proprio su questo punto della storia: la commissione egiziana che doveva vigilare, quella preposta alla «scelta» e a favorire una divisione equa, non si accorse dell'importanza dell'opera perché quel busto non venne mai dichiarato. Anzi, venne nascosto, coperto di fango, fra altri pezzi meno pregiati. Quando poi le autorità videro Nefertiti in bella mostra a Berlino, era ormai troppo tardi. Negli anni successivi, precisamente nel 1933, il governo egiziano richiese la scultura indietro ma si scontrò con un fan d'eccezione: Hitler stesso. «Conosco il famoso busto - scrisse il Fuhrer - mi ha sempre riempito di stupore. Nefertiti continua a deliziarmi. Quel busto è un capolavoro unico, un vero tesoro». Con queste parole, il caso si arenò. Oltretutto, Hitler aveva dei progetti per un nuovo museo di antichità a Berlino e la regina sarebbe stata al centro del suo tempio dell'arte. A riaprire il vecchio contenzioso, mai sopito in realtà, è stata oggi l'occasione della mostra archeologica e la costanza di un sovrintendente come Hawass.

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