INTERNAZIONALE

«Dobbiamo prevenire ingerenze esterne»

PESCALI PIERGIORGIODili

Prima esiliato a Lisbona e rappresentante del governo timorese in esilio; poi Premio Nobel per la Pace assieme al vescovo di Dili, monsignor Carlos Filipe Ximenes Belo. Infine, dal 2002, ministro degli esteri del nuovo governo della Repubblica democratica di Timor Est da ieri neo ministro della difesa al quale vengono affidate le speranze di mettere fine al sanguinoso conflitto civile. José Ramos Horta oggi è forse la personalità timorese più conosciuta al mondo. Il compito a lui assegnato non è tra i più semplici, in particolar modo in questo periodo.
Timor Est rimane, a quattro anni dalla proclamazione dell' indipendenza, una nazione travagliata nel suo interno sia a livello sociale che economico. Che cosa non ha funzionato?
Siamo una nazione giovane, la più giovane esistente su questa terra. La classe politica è inesperta; molti di noi hanno dovuto formarsi all'estero per anni, senza poter seguire da vicino i cambiamenti in atto nel paese. Il nostro presidente, Xanana Gusmao, è stato in carcere subendo torture senza avere alcuna notizia dall'esterno. Infine abbiamo ereditato un paese economicamente distrutto. Il periodo di riadattamento è critico. Dobbiamo ancora capire bene i meccanismi della democrazia perché proveniamo tutti da sistemi politici e economici differenti.
Le difficoltà economiche si possono superare con l'aiuto dell'esterno, ma le rivalità tribali ed etniche saranno una vera e propria calamità per Timor Est, se queste dovessero scoppiare. Cosa state facendo per evitare che questo effettivamente accada?
Se ci dovesse essere un confronto armato tra Lorosae e Loromonu, sarà la fine defintiva del nostro sogno e della nazione timorese. Dobbiamo evitarlo a tutti i costi. Per questo tutte le componenti della nazione timorese sono chiamate a dare il loro apporto: dal governo all'opposizione, dalla chiesa cattolica alle forze armate. Dobbiamo anche prevenire eventuali provocazioni dall'esterno, in particolare da quelle frange di miliziani che già nel 1999 hanno tentato senza successo di arrestare il processo di indipendenza.
Cosa accadrà a Timor Est dopo il ritorno della pace? I ribelli saranno reintegrati nell'esercito?
Prima di tutto occorre ricostruire la polizia, che nel paese non esiste più. Bisogna ricostruire il corpo da zero e con criteri differenti da come si è proceduto nel 2002. Per quanto riguarda i militari ribelli, bisognerà guardare caso per caso. Molti penso potranno essere reintegrati, altri invece saranno chiamati a rendere testimonianza del loro operato che ha messo in pericolo l'esistenza stessa della nazione.
Indagherete anche sulle istituzioni politiche? Se su 1.400 militari che compongono le Forze armate, ben 600 si sono ribellati, le cause andranno ricercate al di fuori del sistema militare, non crede?
Certamente. Il problema ha più radici e dobbiamo trovarle ed estirparle tutte, altrimenti rischiamo di ritrovarci nella stessa situazione fra qualche anno. Sarà necessario fare quindi una forte autocritica nel nostro interno.
Indagherete anche sul primo ministro Alkatiri, accusato di nepotismo e di favoritismi?
Questo per ora non è in discussione. I responsabili dei disordini (i ministri degli interni e della difesa, nda), sono stati dimessi e ricostruiremo i ministeri con nuove regole.
Nel 2007 i timoresi saranno chiamati per la prima volta a scegliere il loro governo. Pensa che queste ribellioni siano in qualche modo da associare a questa scadenza?
Può essere. Il mondo politico è già in fermento e, come lei sa, si muove con molto anticipo sui programmi. Penso che siamo già entrati in campagna elettorale.

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