IL CAPITALE

L'oro che diventa sempre più nero

il libro
PIANTA MARIO,

Qualche mese fa, un film - «Syriana» con George Clooney come star - aveva provato a raccontare una storia petrolifera: intrighi delle grandi compagnie e del governo Usa, contraddizioni dei paesi mediorientali, un finale in cui vincono i cattivi. Una fine inevitabile nei film sul petrolio, andava così anche nel semidimenticato Il caso Mattei, con la differenza che quella sceneggiatura raccontava l'ascesa dell'Eni pubblica di Enrico Mattei, e la sua eliminazione in un incidente aereo. Come sempre, però, la realtà supera la fantasia. A ricordarcelo sono G.B. Zorzoli, grande esperto di energia, e Guglielmo Ragozzino, editorialista del manifesto e responsabile dell'edizione italiana di Le Monde Diplomatique, nel loro libro Un mondo in riserva (Franco Muzzio editore, 167 pp., 14 euro).
E' un libro semplice e utile, che riesce a mostrare le mille facce dell'oro nero. Per primi compaiono geologi e ingegneri a spiegare produzioni (oggi 83 milioni di barili al giorno) e riserve (forse mille miliardi di barili per tutti i giorni futuri), la destinazione crescente del liquido raffinato nei serbatoi dei mezzi di trasporto, un impiego senza facili sostituti, e l'inarrestabile corsa della domanda (i 400 milioni di auto del pianeta si potrebbero moltiplicare per tre entro il 2030). Ma i conti - si scoprirà più avanti - sono passati nelle mani dei finanzieri, che sui mercati internazionali e con i contratti futures dettano i prezzi a tutti. E' poi la volta degli ambientalisti a fare i conti invece dei disastri prodotti: rifiuti e incidenti di trasporto, inquinamento ed effetto serra, malattie professionali e città invivibili.
Entra poi in scena la politica, e non se andrà più. Gli autori ci portano in un giro del mondo dell'intreccio tra oro nero e potere, che parte dalla Russia del 1870 - una chiave per capire le offensive di oggi di Putin e Gazprom - e ricostruisce le origini negli anni '20 delle «sette sorelle» (le maggiori compagnie anglosassoni), percorre l'ascesa e il declino dell'Opec (l'organizzazione dei principali produttori). Sono tante le storie che confermano come per un paese povero la scoperta del petrolio sia quasi sempre l'inizio di una tragedia. L'Iraq appena nato dopo la prima guerra mondiale è «il primo paese dove si manifestò l'intervento diretto del governo americano» per infilarsi nella spartizione del petrolio tra impero britannico e Francia. Da una disavventura all'altra, troviamo Saddam Hussein lanciato nella guerra (per conto di Washington) contro l'Iran della rivoluzione islamica, poi nell'invasione del Kuwait che porta alla prima guerra del Golfo, seguita da un embargo paralizzante, il programma Oil for food e la mossa a sorpresa di far pagare il petrolio in euro, lo scatenarsi della guerra americana, fino all'arrivo dei militari italiani sui giacimenti promessi all'Eni a Nassirya.
Il filo di una storia che illumina in profondità i fatti di oggi in tutti i paesi chiave dell'oro nero. Per l'Iran, l'oppressione britannica d'inizio secolo, il tentativo di nazionalizzazione del petrolio, il colpo di stato di Londra a Washington contro il governo Mossadegh del 1953, la stagione dello scià filo-occidentale e poi la rivoluzione di Khomeini e la nuova radicalizzazione di Tehran che mette in forse mercati di destinazione e tracciati di oleodotti. Per l'Arabia saudita, un ruolo di principe dei fornitori di petrolio all'occidente che nasce dalla visita di Roosevelt di ritorno da Yalta nel 1945. E così via, in una rete infinita di collegamenti tra petrolio, affari e politica.
Il più probabile, tra i tanti finali possibili che gli autori ci propongono, è che il petrolio resterà ancora a lungo tra noi, con prezzi che continueranno a crescere, per la domanda e la speculazione, mentre la scena si affollerà ancora di altri protagonisti, paesi e imprese alla ricerca - con tutti i mezzi - del loro pieno di benzina, dei traffici di oro nero, di profitti nerissimi.

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