Esposizione del tema, per cominciare; e ritorno all'esposizione del tema, per chiudere: una cornice rassicurante, quella che Andrew Hill spesso mette ai suoi brani, che rinvia a un'epoca del jazz vissuta intensamente dal pianista, cinque-sei decenni fa. Ma la stessa interpretazione dei motivi a cui è affidata l'apertura dei pezzi, belle melodie, riflessive, venate di malinconia, già contiene indizi di quello che ci prepara la musica di Hill: una dimensione aperta, estremamente personale, lontanissima dai cliché, intrisa di poesia e niente affatto nostalgica del passato anche quando lo evoca. Dopo avere illustrato il tema, la musica del quintetto di Hill prende sentieri irregolari, vie anche impervie: prima di tornare al tema. L'insieme presenta un miracoloso equilibrio: la musica di Hill non teme l'iniziativa del solista, ma pur nei giri che la portano lontano dal punto di partenza mantiene un sottile ma robusto filo conduttore, così da far risultare un approdo assolutamente naturale il ritorno al tema; una sensibilità free è di casa in questa musica, che pure conserva in ogni momento una sua classicità jazzistica; l'espressione è spesso ardita, non di meno la musica appare sempre all'insegna di una elegante compostezza. Come il pianismo di Hill: economico, anch'esso sgranato, tutto indirizzato alla sua funzionalità rispetto alla musica e per niente all'esibizione. Una estetica non ovvia ma allo stesso tempo serena, risolta, che appare come una sintesi perfetta del bagaglio di uno che ha avuto come mentore Earl Hines ed è stato portato dentro la logica del blues da Pat Patrick, il sax baritono dell'Arkestra di Sun Ra, ha suonato con Miles e con Parker e ha studiato la musica di Paul Hindemith, e, chicagoano (e non nato ad Haiti, come erroneamente si crede, e come Hill si è divertito a lasciar credere), ha frequentato gente come Von Freeman eMalachi Favors, futuro bassista dell'Art Ensemble. A Vicenza Jazz Hill ha portato con sé musicisti giovani e fidati: il bassista John Hebert e il batterista Eric McPherson (a lungo a fianco del compianto Jackie McLean), entrambi presenti sul recente, splendido album di Hill Time Lines (sua terza volta alla Blue Note dopo gli album degli anni '60 e quelli di fine anni '80); e due musicisti della scena nera britannica, entrambi già con lui in altre occasioni degli ultimi anni, il sassofonista Jason Yarde e il trombettista Byron Wallen (il primo ha lavorato con Louis Moholo, tutti e due hanno avuto a che fare con un altro grande sudafricano, Hugh Masekela). Affetto da piccolo dalla tubercolosi, Hill negli ultimi anni è venuto fuori da un attacco di cuore e poi da un cancro ai polmoni. Non si è abbattuto, anzi si è messo ancora di più a fare musica, indispensabile per pagarsi la costosa chemioterapia ma soprattutto per sentirsi attaccato all'esistenza: e, accolta con confortante calore dal pubblico, la musica non scontata di questo grande musicista alle soglie dei 69 anni, ci dice di un bellissimo, forte, serio rapporto con la vita. Dopo aver presentato in apertura di tournée Hill (che sarà martedì 23 al Blue Note di Milano), in una serata divisa con il duo britannico del pianista John Taylor e del sassofonista John Surman, Vicenza Jazz ha molte altre frecce al proprio arco: fra l'altro giovedì 18 ancora jazz inglese con Stan Tracey in libere combinazioni con Evan Parker, Louis Moholo, Norma Winstone (il pianista sarà di scena anche venerdì e sabato al Jazz Café Trivellato alle ore 23); venerdì il pianista Brad Mehldau e sabato Paolo Fresu con l'Orchestra Jazz della Sardegna.