INTERNAZIONALE

Zenawi respinge le accuse dell'Onu

Offensiva d'immagine del premier etiope: un raro incontro con la stampa a Addis Abeba
MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

 Lo scorso giovedì pomeriggio, a sorpresa, il Primo Ministro etiope Meles Zenawi ha deciso di incontrare alcuni giornalisti. Un'iniziativa piuttosto singolare per Zenawi, al governo in Etiopia da quindici anni, spesso tacciato di debolezza nei rapporti con la stampa, soprattutto in seguito alle contestate elezioni del 15 maggio 2005. Le conseguenti accuse di brogli, gli scontri violenti tra popolazione e forze dell'ordine, i morti, l'arresto dei leader dell'opposizione politica e i ripetuti allarmi della comunità internazionale circa il rispetto dei diritti umani e politici nel paese, avevano contribuito a raffreddare ulteriormente i rapporti tra molta parte della stampa estera e il Primo ministro. L'espulsione, avvenuta a fine gennaio, di Anthony Mitchell, corrispondente inglese dell'Associated Press, assieme alle continue proteste di molte associazioni internazionali per la protezione dei giornalisti a causa dell'arresto di cronisti locali, non sembravano riaprire il dialogo tra istituzioni etiopi e stampa.
Due giorni fa invece, mentre Addis Abeba era spazzata da una pioggia continua e fastidiosa, Zenawi ha ricevuto un gruppo di reporter nella sua residenza nel cuore della città, ad Harat Kilo. Completo beige e cravatta regimental in tinta, un'eleganza da capo di stato anni '70, il Primo Ministro è parso disponibile e sorridente nel rispondere anche a domande delicate sulla situazione interna e internazionale. Una mossa intelligente, forse dettata dal desiderio di intervenire subito dopo la visita (e le dichiarazioni), dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti Umani Louise Arbour, la quale aveva parlato con i giornalisti mercoledì, al termine di una visita alle carceri (e quindi anche ai leader dell'opposizione, detenuti dal novembre scorso e sotto processo per accuse che vanno dall'alto tradimento, al tentativo di genocidio e di sovvertire con la forza l'ordine dello Stato).
La signora Arbour aveva dichiarato di essere «piuttosto preoccupata per la situazione presente nelle carceri etiopi, dove si vive in condizioni di prigionia arretrate e dure». Rispondendo a una specifica richiesta di valutazione del manifesto riguardo all'accusa di tentato genocidio che pende sui leader dell'opposizione, l'inviata Onu ha affermato: «Rispetto alle mie informazioni, sono molto sorpresa per un'accusa così grave. Al riguardo, posso affermare che il Codice di procedura penale etiopico non è un'esatta duplicazione delle norme di diritto internazionale sul genocidio, in quanto include nelle categorie a rischio anche gli attacchi ai partiti politici. Ho comunque invitato il governo etiope a riconsiderare l'ipotesi di libertà su cauzione per i politici arrestati».
Incontrando Zenawi, il manifesto gli ha chiesto anzitutto di commentare queste parole. «La Arbour ha esperienza riguardo a ciò che è successo in Ruanda. Ovvio, nessuno si augura di ritornare a quei momenti. La sua differenziazione riguarda proprio l'articolo del nostro Codice che include i gruppi politici. Ma i nostri giuristi mi assicurano che non è una esclusività dell'Etiopia. Riguardo alla possibilità di rilasciare i detenuti su cauzione, la nostra posizione è chiara. Molti amici del nostro Paese ci invitano a risolvere la questione tramite una soluzione politica. Ma per noi il processo non sta contravvenendo alla normativa penale etiope, e crediamo nella correttezza delle decisioni della Corte». Interrogato sulla possibilità che eventuali condanne a morte vengano eseguite a seguito di questo processo, Zenawi ha ricordato che «non sono io che devo decidere, ma la Corte. Posso solo ricordare che in Etiopia negli ultimi quindici anni ciò è successo raramente».
Sulle tensioni frontaliere con l'Eritrea per la demarcazione del confine a seguito della sanguinosa guerra terminata nel 2000, il leader etiope ha affermato di considerare il prosieguo dei colloqui di pace, previsti inizialmente per oggi a Londra e coordinati dalla Commissione internazionale incaricata di segnare i confini, «un'iniziativa molto importante. Affrontiamo questo incontro con mente aperta. La nostra posizione è molto chiara \, ma è già un successo il fatto di sedersi al tavolo delle trattative». Purtroppo, già nella serata di ieri, fonti diplomatiche e delle Nazioni Unite, rendevano noto che i colloqui di pace «sono stati rimandati a data da destinarsi, di certo dopo la fine del mese di maggio».
Cosa succederà ora sul confine etio-eritreo è presto per dire, anche se di certo Zenawi ha affermato ieri che «il materiale utilizzato per fabbricare le bombe che hanno colpito negli ultimi tempi Addis Abeba provenivano con certezza dall'Eritrea. Anche se non abbiamo ancora preso i terroristi, ciò non costituisce una sfida determinante per la sicurezza interna nel Paese».
Se la situazione sul confine nord-orientale resta stazionaria dal punto di vista militare ma delicata politicamente, nuove tensioni sono montate alla frontiera con il Kenya, nel sud dell'Etiopia. Secondo quanto dichiarato dalla polizia keniota, un centinaio di miliziani etiopi avrebbero attaccato, nella giornata di mercoledì, il villaggio di Atesa, in una remota area pochi chilometri dopo il confine, confrontandosi lungamente, in un pesante scontro a fuoco, con l'esercito di Nairobi. Gli assalitori sono stati respinti e si sono ritirati
Queste aride e povere regioni, colpite ora anche da una pesante siccità, non sono nuove a violenze tra clan contrapposti e tentativi di razziare bestiame. Ma di certo l'attacco ha fatto salire la tensione anche su questo fronte. Sin da ieri le forze di sicurezza keniote sono state dispiegate sul confine, che è stato chiuso, per evitare nuove razzie dal territorio etiopico. «Non posso commentare queste notizie perché non ne so nulla. Purtroppo in quella zona ci sono spesso furti di bestiame», è stato il placido commento di Zenawi.

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