Lana, una fanciulla obesa infagottata in una tuta da astronauta si dimena e urla mentre la sua coda di cavallo sta per essere risucchiata dalla fessura pelosa di un'entità aliena a forma di palla da rugby. Le facce di tre bambini seguono con trepidazione la scena su un televisore in bianco e nero, dentro una casetta sperduta nell'immensità inospitale e lunare della campagna neozelandese. Così inizia, tra dramma e commedia, 50 Ways of Saying Fabulous di Stewart Main, lungometraggio in concorso a «Da Sodoma a Hollwood», il prestigioso festival gay&lesbian.
Pur di possedere una coda come la sua eroina, Billy si accontenta di un ciuffo di biondi peli di vacca: tanto il desiderio trasfigura tutto. Se fin dall'inizio la minaccia dell'incendio incombe a causa della siccità, il paesaggio della Nuova Zelanda (siamo in Central Otago, molto vicino al luogo dove nacque Janet Frame. Siamo nell'isola del sud, nel selvaggio West, dove a metà 800 infuriò la corsa all'oro) diventa agli occhi del dodicenne Billy e della sua tosta cuginetta Lou un prolungamento del set del telefilm di fantascienza preferito e la vita quotidiana diventa fabulous, una favola. Crudele, eccitante, piena di situazioni che si capovolgono: rotolandosi nell'erba capita che da sedotto Billy diventi persecutore del misterioso, minaccioso Roy, la sua creature from outer space, catalizzatore del dramma. L'arrivo di Roy farà diventare adulto il protagonista, che dovrà dismettere le proprie fantasie camp e affrontare il desiderio reale, tridimensionale e iniziare a nascondersi per godere. Naturalmente Billy deve difendersi dall'ignoranza aggressiva dei compagni di scuola e ci riesce anche bene; non è mai una povera vittima.
Ovviamente nel film la parola «fabulous» è molto pronunciata, non importa sapere quante volte. È un mantra per Billy, ma viene usata da Jamie, il suo impossibile amore etero, con un significato opposto. E ci sono le parole del sesso e gli insulti (uno «kiwi» che circola molto ma nessuno sembra sapere cosa voglia dire realmente: poofter) detti dai bambini in totale innocenza. Non meno crudeliAbbiamo fatto qualche domanda al regista, Stewart Main..
Come è stato lavorare con i bambini?
Un incubo ma anche un piacere. Bisogna essere molto onesti con dei ragazzi così giovani, che oggigiorno sono anche molto svegli. Sanno cos'è un gay. Forse io ho più ansia riguardo alla parte sessuale di quanto non ne abbiano loro, loro sono blasé...
Il film sembra raccontato dal loro punto di vista
Certo, è qualcosa di voluto. I ragazzi stessi hanno scritto i dialoghi delle loro scene, dentro i parametri stabiliti. Hanno messo le loro reazioni. Ho cercato di non imporre il punto di vista adulto, in modo che potessero esprimere la loro innocenza. Non si può fingere l'innocenza. Durante il casting ho subito pressioni perché scegliessi attori un po' più adulti, di 15, 16 anni, ma ho voluti ragazzi quanto più possibile fuori dalle mediazioni intellettuali, con un'innocenza che scusa tutte le loro colpe. A un certo punto Billy è cattivo con tutti, ma la sua è una risposta genuina, lui è se stesso. Anche il modo in cui si muove la macchina vuole essere semplice e diretto.
Anche la musica.
Mi piace la musica orchestrale. Avrei potuto usare musica pop dell'epoca (la metà degli anni 70), ma ho voluto sostenere il lavoro di un giovane compositore e sottolineare l'aspetto quasi fumettistico e il lato comico della storia.
Mentre il paesaggio è drammaticamente secco e inospitale
Narrativamente ci serviva sia per annunciare l'incendio finale sia come metafora dell'ambiente in cui si trova a vivere e fiorire chi è gay. Manca l'acqua. In realtà i toni ocra delle colline sono frutto di una postproduzione durata settimane, in cui abbiamo cancellato i verdi naturali. Dopo un lungo periodo di siccità aveva cominciato a piovere poco prima dell'inizio delle riprese!
Cos'è che rende speciale la maturità di Billy?
Il tempo e il luogo, un ambiente rurale, molto isolato mentre gran parte delle storie gay hanno per sfondo ambienti metropolitani. Per il resto si tratta di un'esperienza universale attraverso cui passiamo tutti.
Perché scegliere questo soggetto?
Perché ci sono poche storie di «coming of age» di ragazzi così giovani che abbiano questo tono di commedia, che per me è anche un modo di renderla accessibile al vasto pubblico. Non volevo riprendere lo stereotipo eterosessuale del gay tragico e tormentato. Volevo andare oltre.