CULTURA

Un animale politico nel tempo determinato del capitalismo

UNA RINASCITA ALEATORIA
LANZA SIMONE,

Tornare a Marx oggi può significare solo tornare a delle parti del suo ragionamento, fuori da ogni schema ortodosso o eterodosso che sia. Leggere oggi Marx significa «opporre concretamente ad ogni occasione ai riflessi del modo di vita capitalistico, altri modi di vita desiderabili; distruggere con tutti i mezzi iperpolitici l'idea borghese di felicità». Marx costituisce un punto, anche se non il punto, di riferimento per un pensiero libertario capace di pensare un altro mondo possibile. Sono questi gli elementi che attraversano implicitamente gli articoli sulla cosiddetta renaissance di Marx pubblicati su questo giornale (24, 28 e 30 marzo 2006).
Per Hannah Arendt, Marx è uno degli ultimi pensatori antichi, fautore di quel mito democratico della polis che perdura nella tradizione del pensiero politico utopico occidentale. Marx concepisce infatti l'essere umano come animale politico. Inoltre scrisse la sua tesi di laurea sul materialismo di Epicuro ed elaborò un materialismo dell'aleatorio: il mondo, dipende cioè dal caso, e soprattutto dipende dal caso il capitalismo che quindi non è il destino ultimo dell'umanità. Il reale comprende anche il possibile. Non sono le analisi economiche a essere datate quanto l'impianto filosofico hegeliano: esse risultano ancora più interessanti se si considera la forte influenza di colui che Karl Polanyi considera uno dei maggiori economisti: Aristotele.
Marx e Aristotele si posero infatti la domanda che la maggior parte degli economisti eludono: cosa è la moneta? Per loro la moneta non è solo mezzo di scambio, ma ha in sé un'ambivalenza originaria. E' fatta per scambiare ma ha anche un valore in sé: la caratteristica di poter essere accumulata facilmente. Nella circolazione si possono dare due movimenti diversi: uno finalizzato a scambiare oggetti equivalenti al fine di soddisfare un bisogno, l'altro a scambiare oggetti al fine di accumulare moneta. Per Marx, la categoria aristotelica di finalità spiega la moneta e quindi la genesi del potere trascendentale del denaro, che rende tutto omogeneo, valutabile per ciò che monetariamente vale. I rapporti tra gli uomini diventano quindi rapporti tra cose perché le cose si scambiano per accumulare moneta. Le persone perdono la loro diversità per confrontarsi come meri possessori di denaro.
Veniamo così a altre due questioni: la terra e la popolazione. La recinzione delle terre comuni, ovvero la privatizzazione della terre, è l'atto di nascita del capitalismo occidentale. L'appropriazione delle terre (entitlement) delle terre è una tendenza che agisce geograficamente sul limite della frontiera capitalistica, più precisamente sul limite della frontiera agricola. Oggi che gli Ogm costituiscono uno dei terreni di massima accumulazione capitalistica, la conversione dei terreni in grandi estensioni industriali è la missione delle sorelle agricole, spalleggiate dagli organismi internazionali come la Fao che propugnano l'entitlement delle terre su cui vigono ancora oggi diritti d'uso e non diritti proprietari. Le terre su cui vivono e lottano mezzo miliardo di popolazioni indigene nel mondo nonché migliaia di movimenti contadini.
La storia delle enclosures è sicuramente paradigmatica: fu un vero e proprio furto ai danni dei beni demaniali. La conversione di terre arabili in pascoli per aumentare la produttività del suolo mostra quella che Marx definisce l'identità «tra ricchezza nazionale e povertà popolare». Non a caso l'unico argomento a favore delle recinzioni è un astratto bene maggiore per tutti, dovuto alla crescita della produttività. Un caso significativo citato da Marx è il genocidio delle popolazioni celtiche fra il 1814 e il 1820: in Scozia 15.000 gaelici furono espropriati di terre, 3.000 famiglie vennero cacciate e sterminate: in una intera contea al loro posto furono messe 131.000 pecore. Scacciati verso il mare, i sopravvissuti dovettero vivere di pesca o affittare le terre appena confiscate. Marx fa notare come la carestia dei gaelici del 1847 venne spiegata dagli economisti del tempo con la sovrappopolazione. In effetti, nota con amara ironia, erano troppi per le terre che gli erano rimaste.
Un po' come oggi i Mapuche scacciati dalle loro terre per fare posto alle pecore di Benetton, multinazionale avanguardia mondiale del logo e del franchising. L'analisi di Marx appare estremamente attuale perché indica non tanto un momento storico passato quanto una forma attuale dell'espropriazione, anticipando i genocidi di popolazioni indigene, in nome di uno sviluppo più produttivo, per un generico «interesse nazionale», per la crescita del Pil e non per il benessere di chi quelle terre le abita.
L'espropriazione di terre è quindi un movimento costante del capitale, perché l'accumulazione originaria persiste nei luoghi dell'accumulazione. La questione della terra ci riporta a un'altra questione: i genocidi e l'espulsione di intere popolazioni. Il processo capitalistico oggi deve essere letto come processo di precarizzazione. Il capitalismo ha infatti come legge naturale la produzione progressiva di una sovrappopolazione relativa. Questa è il prodotto necessario della ricchezza su base capitalistica ed è anche la leva di accumulazione, o meglio ancora una delle condizioni di esistenza del modo di produzione capitalistico. Tale «esercito industriale di riserva» sta oggi raggiungendo proporzioni disumane: attualmente la popolazione del globo vive per il 55% in campagna, ma con questa espropriazione della terra e migrazione forzata nel giro di vent'anni oltre i due terzi risiederanno in enormi città-bidonville. Alla pressione migratoria verso il Nord non si riesce a dare altra risposta che quella militarista. Semmai, l'unica soluzione è l'abolizione di quell'episodio aleatorio della storia che è il sistema capitalistico.

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