PRIMA

Tra i fantasmi di Kathmandu

REPORTAGE
LUGLI MANUEL,KATHMANDU

Il giorno della manifestazione probabilmente più importante dall'inizio dello sciopero si apre con un silenzio totale, surreale per Kathmandu, città caotica e sovraffollata di mezzi, persone e animali. Nelle ultime due settimane questo silenzio ha già avvolto la città per almeno cinque o sei giorni, durante i coprifuoco instaurati per scoraggiare i cortei che più o meno spontaneamente, ma sempre più diffusamente, si organizzavano nei vari distretti della città. Ma il coprifuoco di oggi, con l'agghiacciante ordine di «shoot to kill», sembra rendere il silenzio ancora più profondo: non una macchina, non una voce. Nulla. Stride con la sensazione di elettrica attesa di ieri sera, mentre in Thamel, il distretto turistico di Kathmandu, negozi e ristoranti accendevano e spegnevano luci, aprivano e chiudevano saracinesche in continuazione, come se si aspettassero qualcosa nei pochi istanti a seguire. Proviamo ad uscire dall'hotel in mattinata: vediamo drappelli di soldati e poliziotti armati di mitragliatori ma veniamo bloccati dopo pochi metri e invitati senza tanti complimenti a rientrare in hotel. Stiamo violando il coprifuoco e per questo è previsto l'arresto.


Anche ieri la protesta contro re Gyanendra a Kathmandu è finita tragicamente, con tre morti e 40 feriti. Dopo essersi raggruppati nei sobborghi migliaia di persone sono entrate nella capitale, in violazione del coprifuoco. Ad attenderli c'erano centinaia di agenti di polizia che hanno sparato ad altezza d'uomo. Secondo fonti ospedaliere 12 feriti sono in gravissime condizioni. In totale i morti dall'inizio della protesta, giunta al quindicesimo giorno di sciopero generale, sono 18.

 Nei giorni iniziali dello sciopero, gli scontri tra polizia e dimostranti, sono stati la regola e in diversi casi, hanno portato a vittime e feriti gravi. Fatti questi che hanno fatto crescere la rabbia della gente, facendo dilagare la protesta in tutto il paese. Anzi, alcune delle proteste più accese e violente si sono avute proprio in alcuni distretti lontani da Kathmandu: Pokhara, Banhepa, Jhapa, Udayapur e Nepalgunj. Dal febbraio 2005, da quando cioè re Gyanendra ha, con un vero e proprio colpo di mano, assunto il potere assoluto, la protesta ha avuto una lenta ma costante espansione, sia in termini quantitativi che qualitativi. Le accuse del re ai partiti democratici di non essere in grado di far fronte all'emergenza maoista, e ai suoi leader di pensare soprattutto alla propria sopravvivenza politica, sono presto sfumate, rivelando la sua mossa per quello che era: l'instaurazione di un regime monocratico ed autoritario, con gravi limitazioni alla libertà individuale e sempre meno rispetto dei diritti civili. Nell'ultimo anno numerosissimi sono stati gli arresti di esponenti politici dei partiti avversi al re, mentre la libertà di stampa si è fatta sempre più limitata. La politica nei confronti della guerriglia maoista, che controlla gran parte del paese - il territorio centro-occidentale e vastissime aree delle zone montagnose sia ad ovest che ad est, ai confini con l'India - non è per nulla cambiata dopo la presa di potere. Qualche tentativo poco convinto di colloqui con il braccio politico della guerriglia e contemporaneamente con la cosiddetta Coalizione dei Sette partiti, non hanno avuto alcun esito, mentre gli scontri tra esercito e guerriglieri si sono fatti sempre più violenti. In dieci anni di guerra silenziosa, si sono avuti quasi dodicimila morti da entrambe le parti; ed in questo numero si devono purtroppo includere cifre elevate di civili, soprattutto tra gli abitanti dei villaggi di montagna e delle aree più remote, dove a turno polizia e guerriglieri colpiscono, gli uni in cerca di informazioni, gli altri per arruolamenti forzati. Ma se la domanda di democrazia, era fino a qualche mese fa portata avanti solo da alcune categorie ben precise di popolazione, per lo più studenti, insegnanti, intellettuali, alcuni esponenti dei partiti politici di sinistra e certa parte di esponenti dei mezzi di informazione, ora - ed a macchia d'olio dall'inizio di questo lungo sciopero - la protesta si è ormai estesa a tutte le classi sociali, fino a coinvolgere professionisti, commercianti e piccoli imprenditori, così come gli impiegati degli uffici pubblici e dei ministeri stessi.

Una protesta che coinvolge tutti
Il tutto mentre il re, nonostante la pressione crescente della comunità internazionale, continua a mantenersi sostanzialmente inerte, totalmente chiuso in difesa dei suoi privilegi reali. Il giorno del Capodanno nepalese, il 14 aprile scorso, Gyanendra ha tenuto quello che avrebbe dovuto essere un attesissimo discorso chiarificatore delle sue intenzioni. Purtroppo, invece, altro non è venuto che una generica disponibilità al dialogo con i partiti della coalizione, e l'affermazione della necessità di andare a elezioni quanto prima, senza però nessuna data precisa. Pur sapendo perfettamente che le elezioni rappresentano la principale istanza avanzata dai partiti e dalla gente, il primo segno di un ritorno verso la democrazia. In più, l'azione, o meglio inazione, di re Gyanendra ha ottenuto pure il risultato non secondario di portare ad un avvicinamento tra le posizioni dei maoisti - che da sempre chiedono l'abolizione della monarchia ed il ripristino delle democrazia - e quelle dei partiti della coalizione, i quali formano così un fronte decisamente più ampio e compatto di quanto non fosse solo pochi mesi fa. In sostanza, la lotta per la democrazia sta coinvolgendo tutti gli strati di una società al collasso, politico ed economico. In un paese che ha fatto del turismo la sua principale risorsa economica, quasi l'80% del proprio bilancio, l'aggravarsi della crisi ha avuto effetti devastanti, con un drastico, drammatico crollo delle presenze turistiche ed il conseguente impoverimento a catena di una fetta enorme di popolazione. Le agenzie di viaggio fanno salti mortali per portare avanti i programmi dei loro (pochi) clienti, divincolandosi tra la mancanza di mezzi di trasporto ed una città sbarrata, mentre sempre più paesi sconsigliano esplicitamente ai propri cittadini di recarsi in Nepal. Fino ad oggi rischi reali per l'incolumità di turisti, trekkers e alpinisti che arrivano in Nepal non ve ne sono stati. Certo tra le montagne e nelle aree più remote del paese, dove si sviluppano i trekking più belli, gli incontri con le delegazioni dei maoisti sono diventate la regola, così come il pagamento di piccole «tasse» locali, per il finanziamento dell'attività di guerriglia. In alcuni casi, al pagamento segue l'emissione di una regolare ricevuta con effige di Mao stampata e talvolta addirittura una piccola festa con danze folcloristiche. Questo non toglie che l'incontro dei turisti con drappelli di uomini talvolta armati di tutto punto costituisca un aspetto inquietante ed un deterrente nella maggior parte dei casi. Non molti sono disposti ad includere nelle proprie emozioni di viaggio l'incontro con guerriglieri armati. Dunque la situazione economica ha una buona parte nell'estendersi della protesta, la quale produce effetti secondari piuttosto seri. Lo sciopero di questi giorni ha provocato il blocco della circolazione di tutti i mezzi lungo le strade del paese, impedendo l'arrivo di merci sia dall'India che dalla Cina, paesi con cui il Nepal intrattiene fitti scambi commerciali. Il risultato è che in città cominciano a scarseggiare alcuni generi di prima necessità come sale, benzina, riso, mentre altri hanno decuplicato il loro prezzo. I mercati sono fermi e migliaia di persone sono senza alcuna fonte di reddito. Come si vede una situazione davvero critica. Ormai è sera, sono le 19. Usciamo in strada e ci avviamo verso il centro città, anche se il coprifuoco finisce ufficialmente solo alle 20 locali. La gente è ancora poca in giro e mezzi motorizzati non se ne vedono, tutti i negozi sono chiusi, mentre militari e polizia continuano a pattugliare le strade. La manifestazione di oggi, sviluppatasi lungo la strada che circonda la città con un anello di 27 chilometri, ha visto una grande partecipazione. Sebbene fosse iniziata in modo assolutamente pacifico, nel corso della giornata gli scontri tra polizia e manifestanti sono ripresi in maniera violenta. Nonostante gli appelli delle numerose associazioni umanitarie attive in Kathmandu e dello stesso rappresentante locale dell'Onu, la polizia ha continuato, come nei giorni precedenti, a utilizzare la mano pesante, caricando e picchiando senza distinzione di età e sesso. I tentativi di gruppi di manifestanti di portarsi verso il centro della città, sono stati respinti con risultati alterni dai militari che hanno fatto uso di lacrimogeni e proiettili di gomma, ma anche, purtroppo, di proiettili convenzionali che hanno provocato la morte di tre manifestanti.

Un dio che riscende in terra
Mentre camminiamo e sentiamo sirene in lontananza che continuano a suonare, camion carichi di poliziotti ci sorpassano lanciati a tutta velocità. Superato il centro città, una pattuglia ci ferma: il coprifuoco è prolungato fino alle 3 di domani mattina, salvo nuovo ordine. Dobbiamo immediatamente rientrare in hotel. Si chiude così, nel modo più drammatico e con sempre maggiore incertezza la quindicesima giornata di protesta contro la monarchia assoluta di re Gyanendra. Una monarchia odiata ed avversata da un sempre maggior numero di nepalesi, per i quali il re non è più, come nel passato, la personificazione di dio, ma ridiscende a terra, rivelandosi per ciò che in realtà è: un dittatore sanguinario.

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