SOCIETÀ

Consigli per superare la nottata

FUORILUOGO
ZUFFA GRAZIA,

Adda passà 'a nuttata! 'A nuttata di tutti noi sono i dieci giorni che ci separano dal nove aprile. E poi c'è una notte particolarmente buia per i consumatori che stanno per incappare nei rigori della legge sulle droghe approvata in extremis dal governo e per gli operatori che devono applicarla. Nel frattempo, il prossimo numero di Fuoriluogo (in edicola col manifesto venerdì 31 marzo) prepara le linee di resistenza del movimento. Che sono più d'una. Cominciamo dalla prima. La legge Fini-Giovanardi è già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e integrata nel Testo Unico sugli stupefacenti: appena definite le «soglie» quantitative per ogni sostanza oltre le quali scatta automaticamente l'imputazione di spaccio, le norme tritacarne entrano a regime: chi sarà preso con una quantità di sostanza (qualsiasi) superiore anche di un'inezia alla «soglia», finirà in carcere anche se semplice consumatore. Se per sua fortuna sarà colto con un'inezia sotto, avrà comunque vita durissima con le sanzioni. Per ambedue si apre la farsa del «programma terapeutico», in alternativa o in aggiunta alla punizione. Tra gli operatori sociosanitari si apre il dibattito. Un medico del servizio pubblico, Roberta Balestra, un operatore di comunità, Fabio Scaltritti, e Mario German De Luca, responsabile per il Lazio del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza lanciano su questo numero di marzo l'idea della disobbedienza civile contro una legge incivile. Anticipo alcuni nodi: la legge esaspera fino all'estremo la commistione fra cura e custodia (leggi, la logica manicomiale). Intendiamoci, questa confusione era presente anche nella vecchia normativa del '90 ed è sempre presente quando le «cure» sono più o meno coatte, poiché vi si accede per evitare la punizione. Ma nel male, più ancora che nel bene, le gradazioni sono importanti. La Fini-Giovanardi procede alla criminalizzazione/patologizzazione anche di quei consumatori che non hanno alcun problema di abuso o dipendenza: inviare in comunità un giovane che si fa ogni tanto qualche canna ha il solo scopo di ravvivare lo stigma. Un modo come un altro, forse il più insidioso, per fargliela pagare e farlo star peggio, anziché meglio. Possono i servizi trasformarsi in luoghi impropri di custodia? Un'altra norma cui la coscienza si ribella: quella che ingiunge al responsabile della struttura terapeutica, presso cui il condannato sta seguendo un programma alternativo al carcere, di «segnalare all'autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona ». In genere, nelle terapie non ci sono «violazioni », semmai «regressi» e «progressi». E ognuno sa che nei progressi del paziente ha un ruolo rilevante il rapporto fiduciario con l'operatore, che non può essere minato da alcun «obbligo di segnalazione». Ma queste sono sottigliezze per il rozzo e sanguigno legislatore, che guarda al sodo: carcere o comunità, l'importante è che il consumatore stia rinchiuso, righi dritto, e che qualcuno lo sorvegli a vista. C'è anche una trincea di resistenza istituzionale. Sandro Margara spiega nei dettagli le norme della Fini-Giovanardi che violano articoli della Costituzione. A partire da quello che stabilisce la proporzionalità della pena al fatto (ma i reati «di lieve entità» sono puniti da sei a venti anni!). Il controllore del Quirinale si è distratto, ma forse saranno più attenti i giudici della Consulta, si spera. E c'è infine una linea di avanzamento (ne scrivono Claudio Cippitelli, Franco Marcomini, Stefano Vecchio): se il voto punirà questi macellai sociali e del diritto, possiamo lasciarci alle spalle non solo il duo Fini-Giovanardi, ma anche la vecchia legge del '90. E avviare, finalmente, prove di convivenza. Addà passà 'a nuttata. Nel frattempo, nessun dorma per favore.

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