Il giro di vite sulla canapa è il cuore della legge Fini-Giovanardi: sulla scia dello slogan «la droga è droga» siamo proiettati all'indietro di un quarto di secolo, dritti al just say no di reaganiana memoria. Dal bastone dell'ideologia al manganello del carcere: il drastico innalzamento delle pene, conseguente alla riclassificazione, ci mette alla rincorsa dell'America neocon (dove ogni anno circa 750.000 persone, in gran parte giovani, sono arrestati per sola detenzione e consumo di marijuana). E al tempo stesso ci allontana dall'Europa, dove, sin dagli anni `90 è andato avanti il processo inverso: di alleggerimento penale, specie per la canapa, e di maggiore investimento nel sociale e nella riduzione del danno. Le droghe sono dunque un altro anello nel rosario dell'antieuropeismo governativo e in ossequio all'alleato d'oltreoceano. Nel cemento ideologico fra Bush e Berlusconi, la droga è più importante di quanto (il centrosinistra) non creda, se è vero, com'è vero, che la war on drugs è un antecedente storico della guerra al Male invocata dal presidente americano contro l'Iraq: le accomuna lo stesso spirito fondamentalista, che porta ad esaltare il clangore delle armi in sé, prima ancora del risultato sul campo (o perfino indipendentemente). Venendo alle tendenze europee. La Spagna è tra i primi paesi a scegliere di non punire il consumo personale, seguita dall'Italia col referendum del '93. Nel 1994, la Corte costituzionale tedesca dichiara inammissibili le misure penali contro i consumatori di marijuana. Nel 1999, in Francia, una direttiva del ministero della giustizia invita a fare «del consumo di stupefacenti la priorità più bassa del codice penale». Nel 2001, il Portogallo cambia la legge, rendendo non sanzionabile penalmente il consumo personale di tutte le droghe. Nello stesso anno, il Lussemburgo sceglie la stessa strada per i consumatori di canapa. Nel 2003, il parlamento belga elimina dalla legge il concetto di illiceità dell'uso di stupefacenti, e nel 2005 il governo stabilisce la non punibilità della detenzione di piccole quantità di canapa, nonché della coltivazione domestica. Sempre nel 2003, la Gran Bretagna decide lo spostamento della canapa nella tabella insieme alle sostanze meno pericolose, con il risultato di una sostanziale decriminalizzazione. La Camera dei Lord vota definitivamente la declassificazione della canapa il 12 novembre 2003. Il giorno prima che il governo italiano approvi in consiglio dei ministri la riclassificazione. A dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, la deriva ideologica dei nostri governanti, fa fede la mancanza di qualsiasi criterio scientifico alla base della tabella unica per tutte le droghe.
Il trend di depenalizzazione europeo va di pari passo col fiorire di nuove revisioni della letteratura scientifica sulla canapa: dal rapporto redatto dal farmacologo dell'Accademia di Francia, Bernard Roques (La dangerosité des drogues, 1999), al parere dell'Advisory Council on the Misuse of Drugs (Acmd, l'organismo di consulenza scientifica del governo britannico, 2002); al Cannabis 2002 Report , redatto da una task force internazionale di esperti provenienti dall'Olanda, la Svizzera, la Germania, la Francia e il Belgio; fino al rapporto della commissione speciale del Senato canadese (2002). Questi studi concordano nel respingere i più comuni miti circa la pericolosità della sostanza e la indicano come la meno pericolosa fra tutte le sostanze psicoattive, legali e illegali. Così conclude il rapporto Roques, stilando una graduatoria di rischio con al vertice l'alcol, l'eroina e la cocaina, al secondo posto gli psicostimolanti e gli allucinogeni, e solo al terzo, «distaccata», la canapa. Lapidario, il documento canadese squarcia il velo sulle lentezze della politica: «30 anni fa un analogo rapporto concluse che la criminalizzazione della canapa non aveva base scientifica. Oggi riconfermiamo questa conclusione».