La maggioranza berlusconiana dei due rami del Parlamento ci ha regalato un'ultima legge sciagurata: il decreto Fini-Giovanardi sulle droghe. Attendiamo l'ultima «nera» pennellata degli «esperti» del ministro Storace per completare l'opera (le cosiddette soglie quantitative). Che cosa dirà la Comunità scientifica europea ed internazionale, di fronte alla tabella unica per tutte le sostanze, che salta subito agli occhi? Rideranno certamente. In un solo «rogo» hanno bruciato il risultato positivo del referendum del 1993, le Conferenze nazionali di Palermo, Napoli, Genova (2000). Ci ritroviamo amaramente una serie di norme autoritarie, irrazionali e offensive nei riguardi della scienza. E' decisamente un vero «mostro» penale. Il tutto fondato su di una superficiale e, nello stesso tempo, tragica confusione tra norma giuridica e norma morale. Si prevedono, con estrema leggerezza, anni di carcere (1-6-20), applicati sia alla canapa, che all'eroina, alla cocaina e alle droghe sintetiche. Al minimo superamento della fatidica soglia quantitativa, scatta lo spaccio presunto. C'è una pioggia di esemplari sanzioni amministrative (patente, passaporto, ecc..). Sarà un bel gran lavoro per i prefetti e i questori. Tuttavia non c'è da preoccuparsi. Ci saranno alternative al carcere, detenzione in comunità disponibili a rinunciare alla pedagogia calda e umana. Inoltre in questa legge scatta cinicamente l'esclusione ideologica delle politiche della «riduzione del danno», già validamente sperimentate. La salute diventa solamente un «dovere» e non un diritto. Di conseguenza si transita dal «diritto alla cura» al «dovere alla cura», pericolose scorciatoie a un irrinunciabile percorso di faticosa costruzione e consolidamento di profonde motivazioni, per operare delle scelte di autodeterminazione. Soltanto accogliendo umilmente gli esseri umani per quello che sono possiamo accettare, per ciò che sono, anche le sostanze chimiche che usano o che abusano. Soltanto nella misura in cui siamo capaci e desiderosi di riconoscere gli uomini, le donne e i bambini, non come «angeli» o «diavoli», ma come persone che hanno diritti inalienabili e doveri irrefutabili, possiamo essere capaci e desiderosi di accettare l'eroina, la coca, la cannabis, l'ecstasy, l'alcool, non come soluzioni totali o il loro contrario, ma come sostanze dotate di certe proprietà chimiche e di certe potenzialità cerimoniali. E' un fenomeno da governare, senza deliri di onnipotenza. E' una lunga guerra, prima di tutto all'intolleranza e all'arroganza degli operatori delle varie agenzie educative. Moderazione verso Dio significa tolleranza religiosa, cioè controllo non dei fedeli, ma di coloro che vorrebbero controllare come i fedeli devono adorare. Significa non condannare gli adoratori di un Dio, ma coloro che vogliono imporre come si adora Dio. Similmente, moderazione nei confronti della salute significa tolleranza medica. Controllo non dei consumatori di sostanze, ma di coloro che vorrebbero controllare come essi devono consumarle. Significa non condannare chi usa droga, ma chi vuole a tutti i costi imporre il modo «pericoloso» di abusare droga.
La nuova legge sentenzia: è urgente punire tutti i consumatori per il loro bene! Siamo certi che la «tolleranza zero» risolverà miracolosamente il complesso problema del disagio giovanile? Molto chiaro. Molto stupido. L'orientamento proibizionista si sorregge su un insieme di costruzioni sociali, religiose, culturali e giuridiche. Sarebbe sciocco trascurare il fatto che, dietro ad ogni proibizionismo, si nasconde un modo di pensare la vita di relazione, le forme societarie e le dinamiche istituzionali. Una forma di pensiero illiberale che mette sotto i piedi, senza pensarci troppo, sia i principi basilari della democrazia che quelli di una corretta informazione e di una intelligente prevenzione. La demonizzazione delle droghe, di ogni droga è, come ogni altra demonizzazione, un grave inganno; un inganno funzionale alla sua diffusa mitizzazione. Chi demonizza una sostanza finisce inevitabilmente per perseguitare chi la usa. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole...
Dopo la pseudo Conferenza delle droghe a Palermo dello scorso dicembre, disertata dalla stragrande maggioranza degli operatori, dalle regioni e dalle società scientifiche, il Parlamento, per dimostrare falsamente il «disastro assoluto» della politica di tolleranza dell'Europa, vota precipitosamente lo «stralcio» della legge Fini-Mantovano del 2003. Nessuna discussione. Si va al voto di fiducia. La fretta, si sa, è cattiva consigliera. Rinasce il «solidarismo autoritario» (faccio il tuo bene, che tu lo voglia o no). Dallo slogan di Fini «O ci sei o ti fai...», si proclama, non si sa quale sia la fonte d'ispirazione scientifica-culturale del delegato Giovanardi, la «tolleranza zero».
Il «proibizionismo» non porta da nessuna parte. Da oltre 30 anni sono legato alla gente di strada e con loro vado alla ricerca di una nuova gerarchia di valori che sappia e voglia tenere ferma la salvaguardia della vita. Quante vittime abbiamo lasciato per la strada! E' una strage mafiosa in un mare di narcodollari. In nome di pregiudizi, luoghi comuni infondati, pseudo nozioni e interessi mascherati, viene dichiarata una guerra le cui vittime innocenti sono sempre i consumatori e i loro familiari. Una guerra ideologica che sulla pelle dei consumatori genera un doppio e speculare mercato: il capillare spaccio clandestino delle sostanze proibite e il mercato legale della «coercizione terapeutica». Il tossicodipendente non viene considerato persona dalla epistemiologia proibizionista, ma viene identificato con la sua pesante problematica, ingabbiato senza scampo in un ruolo specifico e guardato come un problema di ordine pubblico da risolvere (con buona pace dell'articolo 3 della Costituzione). Mi sorge spontaneo un urgente appello al cartello «Non incarcerate il nostro crescere». Deve emergere una linea chiara per la campagna elettorale. Allargare la discussione e ascoltare la strada con le sue storie di emarginazione. Sollecitare proposte che partano da un no secco a qualunque politica di penalizzazione e repressione del semplice consumo e individuare prospettive strategiche (con percorsi differenziati) della «riduzione del danno», riaffermando una volta per tutte la centralità del servizio pubblico, anello che si ponga come intenso luogo propedeutico nel processo, in una vasta rete terapeutica, inserita nel Dipartimento delle Dipendenze delle Regioni e dei Comuni, per portare speranza a tutti coloro che vogliono uscire dalla dipendenza per passare alla pratica della libertà.
* Coordinatore della Comunità di San Benedetto al Porto, Genova