SOCIETÀ

Il testamento di Veronesi

SOLDANO MONICA,ROMA

«Esiste una sensibilità comune degli italiani sul testamento biologico e non dovrebbe essere difficile fare una legge». Non lascia margini di ambiguità per far capire da che parte sta, il professor Umberto Veronesi. Tanto che la fondazione che porta il suo nome è in prima linea per organizzare un registro che custodisca le volontà anticipate dei cittadini italiani sulla loro fine vita. In pratica si tratta di dichiarare fino a che punto si vuole essere trattati con terapie o resi dipendenti da macchine, anche quando non vi sia nessuna speranza di guarigione e la morte non sia comunque evitabile. Al fianco della Fondazione Umberto Veronesi, che ha presentato il progetto ieri a Roma alla presenza del cardinale Ersilio Tonini, anche il Consiglio nazionale del Notariato, disposto ad offrire gratuitamente la propria consulenza, oltre ad alcuni strumenti informatici. «Il testamento biologico - afferma Umberto Veronesi - oggi si può già fare e gli italiani sono pronti a utilizzarlo. Ma è solo un atto privato, che esprime le volontà del paziente di cui il medico deve tener conto per motivi deontologici, non per legge». E se la volontà del paziente non fosse rispettata? Resterebbe il dubbio sul che fare, ed è per questo che si auspica una pronuncia chiara da parte del prossimo Parlamento. Molti giovani, secondo Veronesi, dovrebbero iniziare a conoscerlo. Una forma di prevenzione rispetto a un futuro imprevedibile di malattia o di grave infermità, per esempio, a causa di un incidente stradale. Ed anche un passo in più verso quella cultura dell'autonomia della persona e dell'autodeterminazione informata, nel rapporto medico-paziente, di cui da anni si discute in tutto il mondo.

«Ma c'è legge e legge», replica Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina all'Università di Roma e candidato nelle liste della Rosa nel pugno. In Italia alcune delle proposte di legge sulla materia prendono spunto proprio dal documento del Comitato nazionale di bioetica. Che, se fosse tradotto in legge, darebbe secondo Corbellini un risultato mediocre. Il motivo? Aver tagliato fuori dalla definizione di «atto medico» l'idratazione e l'alimentazione artificiale, contraddicendo l'Organizzazione mondiale della salute. Una brutta abitudine italiana, prosegue Corbellini, quella di tradurre il ruolo della bioetica in paternalismo, peggiore di quello utilizzato da alcuni medici. Emblematica a questo proposito una nota ricerca della rivista Lancet. Che evidenzia come in sei paesi europei il numero di casi di eutanasia diminuisca dove, come in Belgio e Olanda, esiste una normativa chiara. Al contrario, in Italia l'1-2% dei casi di eutanasia è dovuto per il 50% a scelte fatte dal medico senza aver consultato né il paziente né alcun parente. Sull'esigenza di basare le scelte giuridiche sulla conoscenza e la responsabilità sembrerebbe annuire anche monsignor Esilio Tonini: «Sulle leggi non accetto la contrapposizione cattolico non cattolico. Dobbiamo dare retta alla razionalità e alla responsabilità». Ma se lo strumento legale del testamento biologico potrebbe convincerlo, ben diverso è il tono quando si parla di eutanasia: «Non si può costringere un medico ad uccidere un paziente, anche se gravemente malato, e poi evitare di punirlo e farlo sentire innocente». Il diritto di morire come quello di nascere non appartiene all'uomo, ricorda Tonini. Su questo punto il professor Veronesi conclude ricordando il pluralismo culturale e come, per esempio, la Chiesa valdese ammetta l'eutanasia, perché considera la morte, in attesa dell'aldilà, solo una parte della vita.

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