SOCIETÀ

Tutte le bugie sulla legge Fini-Giovanardi

FUORILUOGO
ZUFFA GRAZIA,ITALIA

Ora che il decreto Giovanardi-Fini sulle droghe è diventato legge, forzando procedure consolidate e in spregio ad una normale dialettica democratica (nel Parlamento e nel paese, si diceva una volta), il compito del movimento di opinione, che per quattro anni si è battuto contro la sciagurata svolta, è di impedire che al danno si aggiunga la beffa. Ossia che la nuova legge sia utilizzata dal centro destra in campagna elettorale per manovre di propaganda, suonando il trombone assordante della retorica per tacitare la realtà dei fatti. Perciò, il prossimo numero di Fuoriluogo - in edicola col manifesto venerdì 24 febbraio - dedica uno speciale a contrastare la disinformazione, che circola sui media per bocca dei nostri ineffabili governanti, presentando invece un'accurata analisi e commento del testo, a cura del magistrato Franco Maisto (con una scheda riassuntiva delle norme principali). Tra le mistificazioni più grossolane: la legge è sì severa in via di principio, ma in pratica favorisce il recupero del «drogato»; minaccia col bastone delle pene, ma ha pronta la carota del perdono in comunità, in caso di pentimento; vuol dare il «segnale» (morale) che «la droga è droga», senza attributi di leggerezza che tengano, ma i consumatori non finiranno certo in galera. E su questo ultimo punto fanno fede le dichiarazioni televisive del premier: se qualcuno fosse trovato in possesso di 200 spinelli, ha detto, può sempre dimostrare che sta andando in un'altra parte del mondo e ne consumerà uno al giorno. Insomma, un biglietto aereo per i paradisi tropicali come salvacondotto dal carcere: parola di Berlusconi, tra novello azzeccagarbugli e consumato barzellettiere dal greve humour alla Maria Antonietta.

In realtà, il cardine della legge è proprio la penalizzazione del consumo personale, attraverso l'individuazione di una soglia quantitativa fissa, sostanza per sostanza (ma non solo). La soglia quantitativa funziona come «soglia di penalità», spiega Maisto. Come conseguenza, chi detiene una quantità superiore di droga, è considerato presunto spacciatore e punito come tale. Con pene durissime, specie per la canapa (da un minimo di 6 a un massimo di 20 anni di carcere).

Rimandando alla lettura dello speciale per altri importanti risvolti della legge, sul punto cruciale della presunzione di reato anticipiamo qualche riflessione. Si tratta, chiaramente, di una norma illiberale, che introduce l'inversione dell'onere della prova: niente male per una destra sempre pronta a fregiarsi di garantismo. E lo stesso disprezzo delle garanzie si riscontra nelle sanzioni amministrative, fortemente limitative della libertà personale (assimilabili a misure cautelari, sottolinea Maisto), previste, come misure di polizia, per «chi è stato condannato, anche non in via definitiva» , per reati contro la persona, il patrimonio o in violazione della legge antidroga. In breve: nel mirino è una figura sociale precisa, quella del «tossico» di strada, cui è riservato un «diritto speciale» con drastica riduzione di diritti fondamentali (esattamente come per gli immigrati con la Bossi-Fini). La svolta punitiva sulle droghe porta perciò al cuore della funzione del diritto penale e del carcere, nella cultura politica odierna. E' il tema dell'evento della Triennale di Milano (Carcere invisibile e corpi segregati), cui Fuoriluogo di febbraio dedica due pagine, con scritti di Aldo Bonomi, Massimo Cacciari, Sergio Segio. «La detenzione punisce un tipo sociale, non una fattispecie criminale - dice Vincenzo Ruggiero, nella tavola rotonda coordinata da Riccardo Bonacina, a proposito della popolazione di marginali (migranti e tossici) che affolla il carcere - sequestra chi deve rimanere invisibile, mira a ridurre le aspettative di chi vi è sottoposto. Il carcere ha il compito di abilitarlo all'umiliazione, convincendolo del suo scarso valore umano».

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