POLITICA

Unione, il veto di Rutelli sulle liste civiche

BIANCHI GIULIA,ITALIA/ROMA

Un'«apertura» alle liste civiche, ma che si ferma al solo Friuli Venezia Giulia. Perché la Margherita non vuol sentire l'alito di concorrenza in quanto a rappresentanza parlamentare dell'ulivismo di governo: che invece le liste di osservanza prodiana ambiscono a interpretare. Per paura dei fragili equilibri parlamentari prodotti dalla nuova legge elettorale, ma ancor più per sgombrare il campo dai parvenu che aspirano a sedere al banchetto del partito democratico. Anche ieri, dunque, Francesco Rutelli ha ribadito il proprio veto alle liste che si propongono come espressione del prodismo immune ai vizi della «partitocrazia». Una formula che in fondo non dispiace allo stesso Romano Prodi, riesaminata a Santi Apostoli insieme a Piero Fassino anche alla luce del carosello di sondaggi mandato in onda da Berlusconi per propagandare la propria competitività. Depurata dai calcoli più minuziosi, la questione è tutta politica. E' infatti improbabile che le liste civiche rappresentino davvero il jolly per assicurarsi la vittoria nelle regioni cosiddette «di confine», ovvero quelle in cui il premio di maggioranza su base regionale previsto per il senato è conteso tra destra e sinistra. Allo stesso tempo, sono una spina nel fianco ai progetti politici. Proprio in virtù di quello stesso premio che può fare del senato un'aula alla mercé di un pugno di voti.

Viene di qui anche la ragione per cui con l'Udeur di Mastella si è addivenuti a sicura alleanza: il radicamento territoriale del Campanile fa dell'Udeur un fattore determinante ad assicurare la maggioranza in alcune regioni del sud. Ma la questione delle liste civiche non riguarda tanto il vincere o perdere, quanto il fatto che un pugno di senatori, come quelli che potrebbero essere eletti con sotto le insegne extra partito, in caso di vittoria di misura potrebbe essere in grado di esercitare un ricatto politico sulla legislatura. Nonché sul processo di costruzione del partito ulivista.

Quanto al risultato del 9 aprile, gli uffici elettorali dell'Unione hanno vergato il circoletto dell'incertezza su Puglia, Piemonte, Friuli e Lazio. La regione della capitale è, insieme soprattutto alla Lombardia, una di quelle su cui aleggia l'incognita delle liste. Il nulla osta in Friuli è invece assicurato. Insensato e inutile mettersi in guerra contro il potente e popolare governatore Riccardo Illy: tantopiù perché l'estremo nord-est è appunto una delle regioni chiave. Ieri Illy ha fatto visita al professore spiegando che il modello civico rappresenta un «contributo rilevante» al fine di massimizzare il profitto di una coalizione polimorfa.

Ma di liste civiche «non se ne parla nemmeno, neanche nelle regioni in bilico», ripete il Dl Beppe Fioroni. Perché, spiega, è «improponibile che partiti regionali che non hanno sottoscritto il programma ora possano iscriversi per avere un posto a tavola: crea solo instabilità nella coalizione». Si tratta in altre parole di un granello di sabbia che può insidiare e ricattare il delicato meccanismo oligarchico ulivista. Perché Prodi, com'è noto, non ha truppe: e potrebbe trovare propria nella fila civiche i volontari utili a tenere in scacco i partiti che fanno da padroni nella costruzione del soggetto riformista. Sennonché la Margherita pretende che - escluso il caso del Friuli - il professore respinga l'apparentamento con le liste civiche: che in questo modo dovrebbero superare la soglia impervia dell'8 per cento al fine di ottenere i seggi. Oltre alla minaccia che in parlamento può essere rappresentata dallo sparuto gruppo degli apostoli più prodiani di Prodi, per la Margherita conta anche il fatto che le liste civiche vanno a pescare voti precisamente nel suo bacino. E rispetto a una Quercia che tende a svettare oltre il 20 per cento, i centristi cercano di superare almeno la metà degli alleati.

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