IL PENTITO

Ds alla riscossa: «Un premier di carte false»

BIANCHI GIULIA,ROMA

«Un vero venerdì 13 per Berlusconi», festeggiavano ieri nel quartier generale dei Ds dopo il clamoroso scivolone del presidente del consiglio sul caso Unipol. Le insignificanti rivelazioni che il cavaliere si è visto costretto a dover fornire ai magistrati si sono infatti trasformate nel più inatteso e utile soccorso alla Quercia, altrimenti in palese affanno sull'intreccio politico-bancario. Tanto che il partito di via Nazionale si riversa al contrattacco: «Non abbiamo più la garanzia che con questo presidente del consiglio e questo governo si possa andare alle elezioni in un clima civile e di rispetto per tutte le forze politiche», dice il segretario Piero Fassino motivando il fatto che non parteciperà a confronti diretti con il cavaliere «fino a che non cambierà atteggiamento». E dire che era stato il leader Ds a declinare l'invito a Porta a porta di mercoledì scorso temendo di fare il bersaglio degli strali berlusconiani. Adesso i ruoli si sono invertiti: ieri è stato Berlusconi a farfugliare precedenti impegni rispetto alla disponibilità di Massimo D'Alema per un duello sul ring di Anna La Rosa. Allo stesso tempo Fassino punta l'indice contro il capo del governo: «Le elezioni sono un passaggio essenziale nella vita di una nazione e chi governa ha la responsabilità di creare condizioni ed un clima di serenità perché gli elettori possano votare senza tensioni e senza inutili conflitti - dice il leader Ds - Tutto questo oggi in Italia non è garantito. Anzi, abbiamo la certezza del contrario: chi governa sta cercando di arrivare alle elezioni nel clima più torbido, conflittuale e teso possibile».

La destra ovviamente s'indigna. Berlusconi tenta una contromossa pungendo Romano Prodi nell'orgoglio, alludendo cioè al fatto che il professore ha paura del confronto tv con lui. «Come diceva Totò: `Ma quale paura?'», risponde il leader dell'Unione più superbo del solito. Prodi lascia che il «venerdì 13» di Berlusconi sul caso Unipol se lo godano i diessini, astenendosi dal fare dichiarazioni. Ma non grazia il cavaliere sulla paura: «Nel mio vocabolario non esiste questa parola a meno che non si tratti di un errore di stampa - dice - Mi sembra che la dichiarazione del presidente del consiglio non meriti ulteriori repliche».

Gol mancato, gol subito. Per quanto la Quercia era indebolita e arroccata sulla difensiva rispetto al terremoto Unipol, la maldestra voglia di strafare del premier si è trasformato nel più inatteso dei soccorsi rossi. Grazie alla mano tesa del cavaliere i Ds possono quindi uscire dall'angolo e respirare almeno per un giorno intero e senza ulteriori apprensioni. «Abbiamo capito subito che non aveva niente - spiegano dunque dallo staff del segretario - E allora abbiamo deciso di affondare e di divertirci un po' anche noi, dopo tutti questi giorni di tribolazione». I timori, infatti, sono e restano legati a qualche conversazione licenziosa che può spuntare sui giornali più a quello che ha potuto dire Berlusconi ai magistrati. «Qualcosa ci sarà», hanno sempre detto in via Nazionale. Con la certezza che si tratti di frasi di assoluta irrilevanza penale e un crescente ottimismo anche a proposito delle ripercussioni mediatiche e politiche.

«Il castello di carte false che aveva costruito Berlusconi è crollato miseramente in poche ore», sentenzia Fassino da Assisi. Perché «evidentemente il presidente del consiglio ha raccolto le sue informazioni, che non avevano un carattere pubblico, attraverso mezzi d'indagine e non attraverso i giornali», osserva D'Alema ai microfoni del Tg3, alludendo alle intenzioni malevole del cavaliere e ripetendo che si tratta di «accuse prive di qualsiasi consistenza». Qualcosa di analogo a quanto accaduto con il caso Telekom-Serbia, ricorda Fassino. In quel caso «ci si era affidati ad un millantatore come Igor Marini - continua il leader Ds - A questo punto siamo di fronte alla penosa scena di un presidente del consiglio che fa l'imitatore di un millantatore. Tutto questo è di una gravità inaudita». Oltre al fatto che ieri il premier ha addirittura dovuto ritrattare le proprie accuse a D'Alema, incolpato di aver fatto pressioni su Generali perché vendesse azioni Bnl a Unipol.

«È chiuso il caso delle pressioni ma resta il caso Berlusconi», contrattacca il presidente Ds. La valutazione che fanno al botteghino è ovvia: «Un presidente del consiglio che, incapace di affrontare la campagna elettorale sulla base di argomenti, proposte, risultati vuole avvelenare il confronto trascinandolo sul piano della calunnie - spiega D'Alema - Anziché preparare programmi ha preparato dossier e tutto questo è avvilente per la vita democratica del paese».

Il che non toglie il resto dei problemi legati alla vicenda Unipol che restano ancora da affrontare nell'agenda dei Ds. A cominciare dal fatto che i primi ad aprire il fuoco sulla questione morale, alla vigila della scorsa estate, sono stati gli alleati della Margherita. A questo proposito il leader correntone Fabio Mussi osserva in un'intervista all'Unità di ieri che sono in corso «opa ostili» alla Quercia, lanciate da partiti, centri di potere, soggetti editoriali. «Ce ne sono diverse di forze in campo - dice Mussi - Tra l'altro, vedo che alcuni tra quelli che hanno di più messo i Ds sulla graticola sono quelli più spinti sulla linea del partito democratico».

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