IL CANTASTORIE

Ds: «Un bluff» Ma è allarme sui sondaggi

BIANCHI GIULIA,ITALIA/ROMA

«Bene. Era ora». I Ds vanno a vedere con queste parole quello che ritengono essere un bluff da parte di Silvio Berlusconi. E anzi rilanciano: «Se il premier aveva cose da dire su questo argomento ai giudici - dice il coordinatore della segreteria Vannino Chiti - Era suo dovere andarci prima». Dopo la conclusione con cui a la direzione della Quercia mercoledì ha fatto quadrato contro l'offensiva della destra sul caso Unipol, non sono le presunte rivelazioni annunciate da Silvio Berlusconi a preoccupare lo stato maggiore di via Nazionale. A maggior ragione, però, Piero Fassino e il resto del partito lavorano per rintuzzare l'escalation mediatica volta a discreditare l'immagine della Quercia. E' l'impatto sull'opinione pubblica che preoccupa. Perché i sondaggi sono in calo, benché in misura minore rispetto a quanto vanti il premier.

Analogamente alla replica pronunciata in diretta da Fausto Bertinotti durante Porta a porta, ieri il vertice del botteghino ha quindi sfidato il premier ha recarsi dai magistrati per raccontare le sue verità. Perché «se si tratta di fatti penalmente rilevanti ha l'obbligo di presentarsi dai giudici, senza tappe intermedie nei salotti televisivi o nelle redazioni dei giornali di famiglia», dice Giovanna Melandri. Mentre in caso contrario, completa Fassino, si tratterebbe di «annunci propagandistici o addirittura di allusioni di tipo ricattatorio, per altro del tutto infondate, non avendo i Ds nulla da temere».

Di preoccupante, infatti, non c'è tanto quel che può dire il cavaliere, bensì ciò in ogni caso non potrebbe dire. Possibilissimo, in altre parole, che Berlusconi sia a conoscenza del fatto che i Ds abbiano caldeggiato la vendita di azioni Bnl a Unipol: ma questo rientra in una vicenda ormai accertata e spiegata con tanto di autocritiche da parte dello stesso vertice della Quercia. Altra cosa è invece il fango che può ancora essere gettato attraverso la pubblicazione di intercettazioni o veleni analoghi.

A partire da questo muove il contrattacco mediatico di Fassino, che da ieri ha perciò iniziato un tour televisivo. «C'è stata e c'è una aggressione contro di noi guidata da un quotidiano, Il Giornale, il principale giornale della destra, di proprietà della famiglia Berlusconi, che sta ogni giorno facendo una campagna di aggressione nei confronti miei e del mio partito», dice il segretario a DopoTg1 rievocando la ventata diffamatoria già spirata su Telekom-Serbia. «Respingiamo una aggressione contro di noi che ci vuole rappresentare come corrotti o immorali perché questo non ha fondamento - continua il leader Ds - Noi siamo un partito con uomini e donne non infallibili, che possono sbagliare, ma siamo gente per bene, onesta».

Anche dall'entourage di Massimo D'Alema si inviano segnali di «tranquillità» in relazione alle dichiarazioni del premier. Il che certo non autorizza a sottovalutare una vicenda dalla quale ci si aspettano implicazioni politiche durature. Senza contare che «se usciranno altre cose possono saperlo solo D'Alema e Fassino», dicono anche i collaboratori più stretti compiacendosi comunque del fatto che «la direzione di mercoledì è servita molto».

I Ds vorrebbero quantomeno affrontare senza una pistola alla tempia la composizione delle liste unitarie uliviste con i Dl. Non va infatti dimenticato che il coperchio sulla questione morale è stato sollevato alla vigili dell'estate da Arturo Parisi e Francesco Rutelli, prima che dalla destra. Una mossa in relazione alla costruzione del partito democratico, che i centristi vivono sempre con la sindrome dei Ds in versione annessionista. A questo proposito ieri Parisi ha insistito nel chiedere a Fassino di presentare la lista unitaria come «la locomotiva» del nuovo Ulivo anziché una più banale «bicicletta» composta da Ds e Dl. Anche se in queste ore è proprio sul raggio delle ruote della bicicletta che si va trattando. Quercia e Margherita sarebbero prossimi a un'intesa sulla quote di candidati di ciascun partito: l'accordo dovrebbe attestarsi sul rapporto 60-40. I Ds chiedono il 62% dei candidati, i Dl ne vogliono il 39. Sempre al netto di un manciata (meno di una dozzina) di fedelissimi del professore a cui assicurare il seggio.

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