MONDO

Etiopia, restano in carcere gli anti-Zenawi

MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

In Etiopia, secondo il rito ortodosso, il Natale si festeggia il 7 gennaio. Ma l'aria celebrativa, quest'anno, non si vede. Non per il timore di cibarsi dei tipici piatti a base di pollo a causa della morte di piccioni, per influenza aviaria, nei dintorni della capitale. I venditori di polli continuano a fare affari. Molte famiglie non festeggeranno, ricordando i propri cari uccisi, feriti o arrestati negli ultimi due mesi, in seguito alle proteste scoppiate contro il governo, accusato di aver truccato a proprio vantaggio le elezioni. Alla stazione di polizia di Aia Ullet, un quartiere a sud di Addis Abeba dalla scorsa settimana, si può assistere ogni giorno a un lungo corteo di donne, avvolte nella tradizionale netala , con contenitori di cibo nelle mani, attendere il proprio turno per portare da mangiare ai figli. All'interno, nel cortile adibito a prigione, giace una massa di ragazzini, molti minorenni, con addosso le divise scolastiche. In attesa del cibo e, forse, di vedere formalizzate delle accuse. Questi gli esiti delle proteste scoppiate gli ultimi giorni dell'anno nelle scuole d'Etiopia. Scene consuete: studenti che abbandonano le aule in segno di protesta per l'attacco governativo all'opposizione, alla stampa, a chiunque dissenta; militari e polizia federale che arrivano armati; lanci di pietre da parte dei ragazzi. Soldati in azione, caccia all'uomo per le aule, ferimenti, qualche morto, arresto dei professori che cercano di proteggere gli studenti. Ad oggi, il pallottoliere di questa nuova ondata di arresti, nella sola capitale, pare fermarsi a circa 3.500 persone.

A scaldare gli animi degli studenti, con cadenza settimanale, prosegue, davanti all'Alta corte federale, il processo che vede accusate 131 persone tra esponenti politici dell'opposizione (qui accanto, nella foto ap, alcuni di loro), giornalisti della stampa indipendente, e lavoratori di diverse organizzazioni. Tra questi due membri di Action Aid International, Daniel Benkele (direttore dell'ufficio di policy) e Netsanet Demiessie, arrestati rispettivamente il 1° e l'8 dicembre scorsi. Per tutti, i cui capi d'imputazione vanno dall'alto tradimento, al tentativo di rovesciare il governo con mezzi violenti, per finire al genocidio (da ricordare che, nella conta ufficiale, i morti sono stati 88, quasi tutti dell'opposizione). Ieri si è discussa la richiesta di rilascio su cauzione degli imputati. Assenti gli avvocati difensori, in segno di protesta per non aver potuto incontrare i propri assistiti nei giorni precedenti al processo. «La maggioranza delle accuse pendenti comportano condanne superiori ai 15 anni di detenzione, dunque la Corte ha deciso di negare il rilascio su cauzione», ha motivato la decisione il giudice Adil Ahmed. Poco prima, Ahmed aveva impedito ad uno degli imputati, Berhanu Nega - sindaco eletto di Addis Abeba - di leggere una dichiarazione collettiva. «Questa Corte ci processa per crimini gravi, ma rifiuta di ascoltare la nostra voce. Quindi rifiutiamo di essere giudicati da questo tribunale», ha allora urlato Nega, scatenando il caos in aula. I prigionieri sono stati rispediti in carcere, e l'udienza aggiornata al 23 febbraio.

Intanto, nelle prime ore del pomeriggio, il primo ministro Meles Zenawi ha incontrato il senatore italiano Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri con delega per l'Africa. Un incontro che Mantica, incontrando la comunità italiana presso l'ambasciata, ha definito «più lungo del previsto e molto sereno». Il senatore ha detto di aver discusso a lungo con Zenawi dell'attuale situazione politica, mettendo in risalto il problema dei prigionieri politici e della vittoria dell'opposizione nella città di Addis Abeba. «I nostri programmi di cooperazione, ad ogni modo, non verranno interrotti. Non intervaniamo in Etiopia con aiuti al bilancio, ma con programmi bilaterali gestiti assieme al governo etiope: progetti elencati, e controllati, che non abbiamo motivo di sospendere. Di certo abbiamo chiesto al governo etiope di procedere, per ciò che riguarda i processi, secondo i principi del diritto internazionale e nella maggiore chiarezza possibile. Abbiamo ricordato a Zenawi come un allargamento della democrazia parlamentare, comporti l'inserimento dell'opposizione nel gioco costituzionale, e lo abbiamo invitato a lavorare per una soluzione costruttiva all'impasse relativa all'amministrazione della capitale, dove il governo ha perso», ha aggiunto Mantica. Il senatore di Alleanza Nazionale ha affermato che «comunque siamo di fronte ad un salto di qualità, al tentativo di creare una nuova Etiopia, sulla base di uno stato unico ma federale. Il governo di Zenawi ha messo in moto un processo di democratizzazione importante, per essere uno stato africano».

Una posizione di certo più morbida, rispetto alle recenti prese di posizione dell'Unione europea, e della comunità internazionale, che minaccia tagli agli aiuti per più di 400 milioni di dollari.



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