CULTURA

Gli elementi presi nel sacco

DI GENOVA ARIANNA,ITALIA/ROMA

Per tutti, è «la mostra su Burri», una retrospettiva a dieci anni - quasi undici per la verità - dalla sua morte (se ne andò il 13 febbraio del 1995). Ma l'esposizione che si incontra nelle Scuderie del Quirinale (in corso fino al 16 febbraio, a cura di Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni) non procede raccontando minuziosamente la vita e le opere dell'artista di Città di Castello, come ci si potrebbe aspettare. È bene saperlo prima di imbarcarsi nell'esperienza. Quell'uomo schivo e poco incline ai riflettori mediatici, che aveva attaccato l'«oscenità» del mondo con le sue cuciture su poveri sacchi, le bruciature della plastica o il rosso sanguigno che tra buchi e rammendi, è solo una figura «apripista», il maestro cerimoniere che invita a nuove frequentazioni, facendosi da parte quasi subito e lasciando che, sala dopo sala, prendano vita altre presenze, compagni d'avventura o meno, avvicinati al primo per via di ellissi, sondando acqua, fuoco, terra e aria. Immediatamente, una volta entrati nelle Scuderie, si balza in avanti, si arriva in un baleno agli anni Sessanta: l'indagine, in un arco di tempo che va dal 1945 al 2004, si appropria di una passione antica, quella per la materia. Materia come collage, ferraglia, macchina inutile, natura distesa fra ciò che è politico e ciò che è rituale, terra e carbone, schegge di luna, balle di fieno, spugne imbevute di colore. L'assunto è molto vasto e dentro potrebbe finirci di tutto. Quale artista, infatti, non vive una lotta con la materia? Se non si lavora sulla sparizione dell'oggetto artistico ma sulla sua presunta «consistenza» e solidificazione di uno spazio, allora in mostra potrebbe esserci di tutto: il gioco del «fuori questo e dentro quell'altro» diventerebbe persino banale, un esercizio vezzoso. Bisogna ripartire da un differente punto di vista per fare delle giuste (o ingiuste) annotazioni. L'accidente, protagonista di una fisicità esistenziale, è qui il sottotitolo invisibile che passa fra un quadro e l'altro del percorso. Il risultato, nonostante la difficile impresa di etichettare semplicemente come «materici» diversi degli artisti presenti, è più che buono. Ottimo, probabilmente. Grazie alla indubbia bellezza della maggior parte delle installazioni e dei lavori ospitati, che finiscono per gareggiare sulla base dell'eccellenza e della qualità.

La visione d'insieme proposta dall'operazione Burri, gli artisti e la materia, 1945-2004, è quindi stellare: granulosità, escrescenze, batuffoli di cotone, brandelli di cemento, cellotex, lamiere contorte e pressate, violini abbrustoliti, conducono direttamente fra le braccia di artisti come Manzoni, Uncini, Dine, César, Arman, Kiefer, Fontana. E, partendo dal dopoguerra, dai «corpi» lacerati dell'ex medico di guerra Alberto Burri s'inoltrano lungo la contemporaneità fino alla materia virale rappresentata da Ebola di Damien Hirst o, sempre dello stesso artista britannico, al caleidoscopio che classifica le ali di farfalla all'interno di una superficie circolare.

Per questo parterre di star dell'arte sfoderato, la mostra rischia di essere un po' troppo televisiva, come fosse uno show di prima serata, ma certo che in un contesto deprimente come quello italiano, dove la vivacità culturale è sempre utilizzata solo per propagande miserrime e mai per il suo grande valore sociale, identitario, creativo, economico infine, va benissimo anche una rassegna come quella alle Scuderie del Quirinale. Va in onda infatti una performance della materia molto silenziosa, che schiaccia pur nel suo minimalismo, le roboanti prove di molti artisti new generation. La serra, o foresta senza uscite, di Respirare l'ombra di Giuseppe Penone, dove l'alloro emana un profumo intenso e dove l'essere umano è ricordato unicamente da un polmone argenteo appeso alle pareti, aiuta chiunque a riconciliarsi con il mondo, in una sorta di magica appartenenza alla natura. È un'oasi, una pausa dentro la frenesia metropolitana: così può intendersi l'intero itinerario dell'esposizione. Un esperimento, in fondo, sulla nostra reale capacità di estraniamento. E, quasi per paradosso, fra i décollages di Rotella, le superfici brute di Le torse nu (Otage) di Jean Fautrier, il pigmento rappreso di Yves Klein, i cretti bianchi e neri di Burri, le lavagne di Beuys, il vestito di Circe, donna fantasma e prigioniera di Kiefer, la materia svanisce nel suo contrario, in una sorta di rarefazione del soggetto che è una delle chiavi di lettura dell'arte anche di questo XXI secolo.

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