Oggi il senato approva in via definitiva la riforma elettorale che ripristina il sistema proporzionale ma all'insegna delle peggiori storture maggioritarie. Ma secondo Romano Prodi l'arroganza della maggioranza di centrodestra travalica i numeri parlamentari. Nel corso di una conferenza stampa a palazzo Madama il professore accusa infatti le forze di centrodestra di esercitare «minacce neppure molto velate che talvolta si alternano a lusinghe neppure troppo eleganti» affinché «il presidente della Repubblica assicuri senza indugio la promulgazione di una legge di comodo, adottata dalla sola maggioranza nel suo evidente e miope interesse di bottega e per suo esclusivo interesse di parte». Quando Prodi scandisce il suo ragionamento, gli occhi dei senatori di centrosinistra che assistono alla conferenza stampa si rivoltano verso il soffitto. Tantopiù perché il professore legge una nota scritta. E ancor più perché si stanno sempre più rincorrendo le indiscrezioni in base alle quali il Quirinale sarebbe orientato a firmare la controversa riforma elettorale.
Minacce da una parte, lusinghe dall'altra. L'immediata e concreta impressione, che tuttavia nessun senatore si sogna di confessare pubblicamente, è che le parole di Prodi alludano a una qualche ricattabilità del Colle a opera della maggioranza. Così come forse sono state percepite anche al Quirinale; per quanto il professore tenga subito a puntualizzare non voler «tirare in ballo il presidente della Repubblica» a proposito di una riforma che il centrosinistra ha sempre ritenuto «non seria politicamente e sbagliata costituzionalmente».
Il risultato è comunque che l'affondo prodiano, oltre a far insorgere il centrodestra in una facile difesa dell'autonomia e dell'imparzialità di Ciampi, fa sobbalzare i principali partner dell'Unione. Per la verità, anzi, Ds e Margherita non prendono per niente bene le parole di pietra usante dal leader dell'Unione, rimproverando a Prodi e al suo staff di non aver concordato un'esternazione che ha chiamato in causa Ciampi. E non c'è da escludere che lo stesso Colle abbia fatto percepire il proprio disappunto.
Detto dell'irritazione dei sodali della lista unitaria, tra il resto della coalizione non fa breccia neanche l'altra parte del contrattacco prodiano. «Nell'attesa di trovare un adeguato consenso per una nuova e più equilibrata legge elettorale condivisa con l'opposizione, ripristineremo il sistema attuale - dice il professore - Certo non lasceremo sopravvivere questa indegna legge adottata con un metodo e con intenti incompatibili con il più elementare rispetto delle regole democratiche e della dignità stessa degli elettori». Sennonché il ritorno al mattarellum di fatto è sostenuto dai soli Ds e neanche da tutta la Margherita. Prc, Pdci e Udeur sono proporzionalisti per costituzione anatomica; i Verdi non spasima per il maggioritario trascorso; la Rosa nel pugno socialista e radicale, infine, oggi si avvantaggia sicuramente più del proporzionale.
C'è di vero nelle parole di Prodi che la riforma - fortissimamente voluta dai centristi dell'Udc - è calibrata dalla maggioranza al solo fine di salvare le penne alle prossime politiche. Solo per questo la Lega ha onorato il vincolo di coalizione, e per lo stesso motivo il Carroccio rimane in silenzio. Contro prodi si scatenano invece i forzisti e i post-democristiani. Dichiarazioni «incendiarie», cava di tasca l'accendino il ministro Udc Carlo Giovanardi. Il megafono azzurro Sandro Bondi si avventura perciò a scomodare il «giurì d'onore» affinché il professore renda conto «al più presto di fronte al parlamento e al paese» delle sue «incredibili» dichiarazioni. Mentre è l'altro azzurro Fabrizio Cicchitto che ha gioco facile nel contestare al professore di «voler pesantemente condizionare, pubblicamente, il capo dello stato».
Attacchi «sguaiati», rintuzza Francesco Rutelli con l'eco del Ds Gavino Angius, per difendere una riforma che in vero «un gran passo indietro». Ma che dopo le parole di Prodi ha fatto anche un verosimile passo avanti.