MONDO

L'ingombrante generale Gotovina

SCOTTI GIACOMO,ZAGABRIA

Più piccolo del sinistro, ma batte ancora forte: è il ventricolo nero, posto all'estrema destra, del cuore croato. Se ne è avuta la prova nelle ultime ore, con le reazioni all'arresto del generale Ante Gotovina - estradato, forse, tra poche ore dalla Spagna verso l'Aja -, ex ufficiale della Legione Straniera, accusato di crimini contro l'umanità commessi nel corso dell'operazione «Tempesta» nell'agosto del 1995 e soprattutto dopo quella operazione, fino al novembre, sul territorio dell'ex Krajina. L'arresto, come è noto, è avvenuto su un'isola delle Canarie. Ora l'ex legionario, pluridecorato dal defunto «supremo» Tudjman per le sanguinose imprese, si trova a disposizione dei giudici della Corte internazionale dell'Aja per i crimini di guerra. L'arresto di Gotovina che ha posto fine a una latitanza di lusso protrattasi dalla fine di giugno del 2002, ha segnato - secondo le forze di estrema destra della Croazia - «una giornata triste per il paese»». E davvero per molti in Croazia, a cominciare da Pakostane in Dalmazia dove il generale viveva prima di farsi uccello di bosco (o di alberghi di lusso) nascondendosi sotto il falso nome di Kristian Horvat, è stata quasi una giornata di lutto. C'è stato anche chi, dopo aver affisso per anni gigantografie del genere in varie città, ha ora esposto la bandiera nazionale a mezz'asta! Varie emittenti radiofoniche private hanno trasmesso in continuazione - e la faccenda non è ancora finita - le melodie «guerriere» del noto cantante neofascista dalmata «Thompson» che dovrebbero lenire le pene degli estimatori del generale «eroe». Il premier croato Ivo Sanader, leader del partito fondato da Tudjman (Hdz), ha dichiarato in parlamento che «la Croazia farà ora tutto il possibile per giungere alla piena verità». Per dire che nelle alte sfere governative si è disposti a fornire a Gotovina tutto l'aiuto possibile (con avvocati di grido pagati dal Governo) davanti ai giudici dell'Aja anche per «difendere la verità della guerra patriottica». Un aiuto che sarà dato - ha precisato Sanader - anche ai generali Markac, Germak e Ademi in attesa di processo e a sei croati della Bosnia pur essi messi sotto accusa dalla Corte internazionale.

Il signor Anto Djapic, leader del Partito croato del diritto, erede del partito ustascia, ha dichiarato anche a nome di tutti i deputati del suo movimento: «Questo è un giorno molto difficile e triste per la Croazia, per i veterani della guerra patriottica e per tutti coloro che rispettano e ammirano il generale Gotovina». Si è quindi dichiarato convinto che l'«eroe» finalmente catturato dopo aver tenuto in ostaggio il suo paese per più di tre anni, «dimostrerà la propria innocenza davanti alla Corte». Per Djapic è stato «terribile» il fatto stesso che la notizia della cattura di Gotovina sia giunta (per bocca di Carla Del Ponte) dalla capitale di un paese da lui profondamente odiato, da Belgrado. «Strana coincidenza», ha detto. E su questa «stranezza» ha concordato anche un leader del Partito contadino croato, Ljubica Lalic, che ha aggiunto: «Non dobbiamo dimenticare che assieme a Gotovina è stata messa sotto accusa l'intera Croazia, per cui è nostro obbligo assicurare tutto il supporto legale per difendere la dignità dello stesso generale e dell'intero Paese». E qui il ventricolo nero del cuore croato si allarga al «centro» politico. Che Gotovina riuscirà a dimostrare la sua innocenza ne è convinto anche il liberale di destra Ivan Cehok, mentre il vicepresidente della Dieta Democratica Istriana Damir Kajin, ha fatto notare che «Gotovina è finito in manette nel momento in cui è apparso conveniente agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna». Che, secondo lui, sapevano da tempo dei suoi spostamenti. Secondo il deputato istriano, il fatto che Carla Del Ponte abbia dato l'annuncio della cattura di Gotovina a Belgrado, è un chiaro segnale alle autorità serbe che se non saranno loro ad arrestare i loro criminali, il generale Ratko Mladic e l'ex «presidente» della Repubblica Serbia di Bosnia Radovan Karadzic, lo faranno gli americani e/o gli inglesi.

Sempre nel corso del dibattito in parlamento, dove il premier si è precipitato subito dopo aver appreso la notizia della fine della latitanza dell'«eroe», i deputati del partito di estrema destra hanno chiesto un'interruzione dei lavori della Camera motivando la richiesta con il fatto che gli onorevoli in camicia nera erano rimasti «troppo scossi» dalla novità, precipitando in una situazione psicologica che toglieva loro «tranquillità». La proposta è stata respinta, Djabic e camerati hanno abbandonato l'aula.

Nelle stesse ore il sindaco di Pakostane Milivoj Kurtov, ha dichiarato di essere rimasto «molto scioccato» assieme ai compaesani, facendo balenare la possibilità di organizzare una gita collettiva all'Aja per rivedere Gotovina, il quale «ha perso la sua prima battaglia, ma continua la guerra vera e propria». Perciò ha invitato «a farsi avanti tutti i reduci e coloro che possono testimoniare» in difesa dell'ex legionario. Anche nei comuni attorno a Zara l'atmosfera è molto pesante. C'è chi minaccia di organizzare blocchi stradali sulla litoranea adriatica, cortei ed altre manifestazioni. Per fortuna nelle città nessuno ha sparso una lacrima, e quasi tutti i giornali hanno riportato in sintesi l'atto di accusa dell'Aja dal quale si evince che dal 4 agosto al 15 novembre 1995 il generale Gotovina, con altri ufficiali superiori, inclusi Ivan Cermak, Mladen Markac e Azem Ademi, partecipò ad attività criminose contro i civili serbi della regione «liberata» con lo scopo di cacciarli dalla Krajina, derubando, saccheggiando e distruggendo le abitazioni «al fine di impedire un eventuale rientro» degli abitanti. E che nell'operazione «Tempesta» le forze croate attaccarono le città e i paesi, soprattutto nei settori sud dell'area investita, assumendone il controllo senza incontrare resistenza. Quindi i saccheggi, le distruzioni e le uccisioni seguiti alla «liberazione» sono crimini ingiustificabili compiuti dietro ordine del generale Gotovina e del defunto capo dello stato Franjo Tudjman.



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