L'ultima fatica di A. Roncaglia «Il mito della mano invisibile» analizza la nozione della mano invisibile e svela come la sinistra, dalla Margherita a Rifondazione, hanno perso la memoria e l'orizzonte tracciato dagli economisti classici. Forse non è un caso che la «sinistra» avanza delle ricette economiche che sono apertamente in contrasto con l'idea stessa di coesione sociale sostenuta da Smith, e più recentemente da Riccardo Lombardi, probabilmente l'ultimo politico riformatore della storia recente del Paese. Da questo punto di vista possiamo sottolineare alcuni tratti del pensiero di Lombardi come di Smith riportati dall'autore del libro. Per Lombardi lo stato sociale può apparire un rimedio ex post agli squilibri economici e sociali, che non incide sulla dislocazione del potere. In alcuni casi, come fu ad esempio la nazionalizzazione dell'energia nel `63, sono più importanti di quelli diretti alla costruzione dello stato sociale; ma l'aspetto più rilevante è che gli uni non contraddicono gli altri. Per il vero riformatore, in questo caso Lombardi, a cui aderisce con forza l'autore del libro i due tipi di interventi si sostengono a vicenda. Roncaglia, inoltre, restituisce a Smith ciò che è di quel periodo storico: «Il liberismo smithiano vede nel mercato una istituzione sociale delicata, che va sostenuta nel suo funzionamento attribuendo importanza alla moralità e alla legalità dei comportamenti. Inoltre, possiamo aggiungere oggi, in vari casi il mercato va sostenuto con interventi pubblici, proprio per assicurare che i tanti fallimenti del mercato non indeboliscano la coesione sociale, e quindi la sopravvivenza stessa di quel tacito consenso che è un prerequisito della convivenza sociale».
A dirla tutta, Smith non si è mai preso troppo sul serio quando scriveva e discuteva della mano invisibile. Roncaglia ci ricorda come «la mano invisibile» negli scritti di Adam Smith «è citata solo tre volte, di cui una in toni derisori, e di cui solo una nella sua opera economica, La ricchezza delle nazioni, senza peraltro riferirla a una pretesa capacità di autoregolazione del mercato». Inoltre, nella «Teoria dei sentimenti morali», Smith sottolinea come il mercato in se non significa equilibrio. In realtà, la mano invisibile non è attribuibile al grande economista classico, da cui Marx ha copiato molto, pensiamo alla alienazione (Smith 1776 e Ferguson 1767), piuttosto alla re-interpretazione data in un articolo di Stigler nel 1951. Il fatto è che Stigler legge Smith con gli occhiali della sua posizione politica dell'epoca. Alla interpretazione chiusa e retriva di Smith ha contribuito anche tanta parte della sinistra, fino ad abbracciare l'ipotesi dei «limiti allo sviluppo». L'errore cruciale è la sottovalutazione del ruolo del progresso tecnico, che invece è posto al centro della scena dall'analisi smithiana della divisione del lavoro. Non a caso Roncaglia ci ricorda il troppo timido ricorso alla tassazione delle fonti energetiche più inquinanti, la cosiddetta carbon tax, che nei fatti ha rallentato la transizione verso fonti energetiche meno inquinanti. In particolare, Roncaglia ci consegna il vero concetto di concorrenza di Smith, che oggi dovrebbe farci riflettere molto, cioè la «possibilità dei capitalisti di spostare i loro fondi da un settore all'altro dell'economia all'impiego più redditizio». Leggendo con attenzione questo passaggio possiamo capire il «fallimento» dei capitalisti del nostro Paese. Mentre tutte le economie dei Paesi sviluppati si spostavano verso la produzione di beni intermedi e di investimento, con alto valore aggiunto legato alla introduzione della tecnologia, l'Italia è rimasta specializzata nei beni e servizi di consumo, cioè hanno condannato il Paese ad una crescita economica più bassa e con l'impossibilità e l'inutilità di fare ricerca e sviluppo. Non a caso, la ricerca e sviluppo dell'Italia, a parità di specializzazione produttiva e di dimensione, è in linea con quella europea.
Altro nodo fondamentale nella trattazione fatta da Roncaglia è la nozione di libertà. Nella concezione smithiana «l'etica della simpatia» costituisce il necessario bilanciamento del perseguimento dell'interesse personale. Questo interesse deve tenere conto delle regole e più in generale del nostro essere membri della società, ed è quindi ben diverso dall'egoismo puro, mentre per Robert Nozick (1981), stando ad autori più recenti, lo stato minimo rappresenta la concezione forte del diritto di proprietà privata fondata su una concezione individualistica. Sostanzialmente si misurano due concetti di libertà, una positiva e l'altra negativa: la prima come libertà da bisogno, che per Einaudi significava porre l'accento sul problema delle pari opportunità, cioè delle disuguaglianze nel potere politico, nel reddito e nella ricchezza, nell'educazione, la seconda dalla ingerenza di chicchessia negli interessi personali, ovvero l'eliminazione di lacci e laccioli. L'ultimo capitolo parla molto del pensiero politico e sociale di Rccardo Lombardi. In questo senso, vale la pena ricordare le riforme di struttura suggerita dall'esponente del Partito d'Azione e poi socialista. Non a caso era attaccato da sinistra e da destra. Da un lato per il suo riformismo: «il capitalismo non lo si cambia, lo si abbatte»; dall'altro lato per il suo preteso velleitarismo: «il capitalismo non lo si abbatte e non lo si cambia, ragazzo lascia fare al manovratore».
C'è da sperare che il libro di Roncaglia possa contribuire alla crescita della capacità progettuale. Si tratta di recuperare la posizione del riformatore, stretto tra l'ormai stanca critica mossa da sinistra d'essere puntello del «sistema» e il ben più aggressivo ritorno di un'ideologia neoliberale di generica esaltazione del mercato. Due retoriche contro le quali ben poco ha potuto quella «fiducia nella forza delle idee» ostinatamente difesa da Federico Caffè, cioè la «nostalgia del buon governo nel quale in fondo s'identifica quel tanto di socialismo realizzabile nel capitalismo conflittuale».
Alessandro Roncaglia, «Il mito della mano invisibile»; Laterza 2005; 140 pagine; 10 euro