Non si placa in Etiopia la protesta contro il governo di Meles Zenawi, accusato di aver truccato le elezioni. Da ieri è iniziato uno sciopero generale nazionale. Nella capitale la maggior parte dei negozi è chiusa e non ci sono trasporti, ad eccezione di quelli governativi. File di persone attendono di fare scorta di kerosene. I pochi suq con le serrande alzate stanno terminando i viveri e l'acqua. Proseguono i rastrellamenti delle forze dell'ordine; non si conosce con esattezza il numero dei cittadini arrestati. Fonti locali parlano di oltre diecimila arresti solo ad Addis Abeba. Di certo, sebbene non sia stato proclamato il coprifuoco, al calar della sera la popolazione è terrorizzata, e tutti si affrettano a tornare a casa. Ieri intanto, i leader dell'opposizione detenuti, sono comparsi davanti all'Alta corte federale, per la prima volta dal momento dell'arresto. Nei giorni scorsi si erano diffuse voci preoccupanti sulla loro sorte. Solo agli avvocati difensori è stato permesso di entrare nell'aula. Uno di essi, raggiunto poco dopo l'udienza, ci ha dichiarato che «i prigionieri sono tutti in buone condizioni fisiche. Non sono state presentate accuse a loro carico, e la corte ha concesso altri 14 giorni di investigazioni alla polizia. I politici rimangono in carcere». Inizia un'altra notte di attesa e timore. Le pattuglie di polizia federale e di reparti speciali dell'esercito si muovono veloci tra vie semideserte e spettrali. In un quartiere periferico della città, un'auto attende a fari spenti. Al suo interno, una delle poche figure di spicco del Kinjit ancora in libertà. Ha accettato di discutere la situazione attuale con il manifesto, a patto di rimanere anonima.
Come sono iniziati gli incidenti di martedi? Il governo vi accusa di avere sobillato i disordini.
Anzitutto il Kinjit non ha promosso, in tutti questi mesi, nessuna escalation violenta nel paese che conducesse ad una guerra civile. Vogliamo governare, perché abbiamo vinto le elezioni, attraverso dinamiche legali. Ad ogni modo, martedi mattina la polizia si è presentata in forze nella zona di Merkato, intimando ai negozianti di chiudere. La gente si è opposta. La polizia ha iniziato a malmenare e la popolazione ha reagito. Si è trattato di un piano predeterminato, per poter accusare i dirigenti dell'opposizione di aver provocato gli scontri. Sulla base di queste accuse, molti di noi sono stati arrestati quello stesso pomeriggio.
La protesta pare ormai essersi diffusa in molte città etiopi. È una lotta spontanea?
La maggioranza della popolazione etiope ha votato e sostiene il Kinjit. Nel momento in cui si è saputo che tutta la dirigenza del partito era stata arrestata, la rabbia ha prevalso. Il partito ha tentato di perseguire i propri obiettivi pacificamente. Ma il governo del primo ministro Zenawi non ha mai accettato la via del dialogo, e ha represso e massacrato il suo popolo. Ora ogni persona, in Etiopia, vuole battersi.
Cosa succederà nei prossimi giorni?
Il governo continua ad arrestare gli studenti, i giovani in generale. Entrano nelle case, picchiano i genitori e si portano via i loro figli. L'esasperazione può solo andare crescendo.
Si stanno confrontando truppe scelte della polizia federale e dell'esercito con gruppi di persone armate di sassi dall'altra. Che sviluppi può avere questo confronto?
La gente ha iniziato a tirare pietre contro le pattuglie solo dopo essere stata provocata, malmenata, uccisa. Allora ha deciso di non incrociare le braccia. Si è sentita in diritto di rispondere. Ora Zenawi sta portando avanti una guerra psicologica. Vuole che la popolazione si senta impotente e sopraffatta. Ma la situazione si aggrava. Le persone muoiono, chi gli sopravvive è sempre più determinato.
C'è il rischio di un conflitto etnico in Etiopia?
Il governo in questo momento è in mano a persone di etnia tigrè. Ma i tigrè non sono il governo. Anche tra loro c'è insofferenza per come l'Etiopia viene governata oggi. L'eventualità di un conflitto etnico è il sogno dell'Eprdf (il partito di Zenawi, ndr). Un sogno fallito. La popolazione chiede solo pace e democrazia. Non ci sarà nessun conflitto etnico, nessun Ruanda. Sconfitto questo governo, ci siederemo intorno ad un tavolo per decidere come vivere insieme in Etiopia, come abbiamo sempre fatto.