Dio, cos'è quella coltre silenziosa
che fiammeggia sopra l'orizzonte...
quel nevaio di muffa - rosa
di sangue - qui, da sotto i monti
fino alle cieche increspature del mare...
quella cavalcata di fiamme sepolte
nella nebbia, che fa sembrare il piano
da Vetralla al Circeo, una palude
africana, che esali in un mortale
arancio... E' velame di sbadiglianti, sudice
foschie, attorcigliate in pallide
vene, divampanti righe,
gangli in fiamme: là dove le valli
dell'Appennino sboccano tra dighe
di cielo, sull'Agro vaporoso
e il mare: ma, quasi arche o spighe
sul mare, sul nero mare granuloso,
la Sardegna o la Catalogna,
da secoli bruciate in un grandioso
incendio, sull'acqua, che le sogna
più che specchiarle, scivolando,
sembrano giunte a rovesciare ogni
loro legname ancora ardente, ogni candido
bracere di città o capanna divorata
dal fuoco, a smorire in queste lande
di nubi sopra il Lazio.
Ma tutto ormai è fumo, e stupiresti
se, dentro quel rudere d'incendio,
sentissi richiami di freschi
bambini, tra le stalle, o stupendi
colpi di campana, di fattoria
in fattoria, lungo i saliscendi
desolati, che già intravedi dalla Via
Salaria - come sospesa in cielo -
lungo quel fuoco di malinconia
perduto in un gigantesco sfacelo.
Ché ormai la sua furia, scolorando, come
dissanguata, dà più ansia al mistero,
dove, sotto quei ròsi polveroni
fiammeggianti, quasi un'empirea coltre,
cova Roma gli invisibili rioni.
Da "La religione del mio tempo",
edizioni Garzanti, Milano 1961