MONDO

Addis Abeba, la polizia spara Nuova strage

MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

Il fumo dei lacrimogeni, sparati dai reparti antisommossa della polizia federale, ancora fatica a dileguarsi nella zona di Sabathenna, quartiere popolare di Addis Abeba. Daniel, 21 anni, approfitta della strada sgombera per fare due tiri a pallone con un amico, la maglietta tirata su a coprire la bocca e il naso per non restare intossicati. «Stamattina in tutti i quartieri popolari della città abbiamo tenuto chiusi i negozi. Abbiamo partecipato così alla serie di proteste organizzate contro il governo etiope, che ci ha derubato del nostro voto», dice il giovane garzone. In lontananza, la chiesa di Amanuel fa da sfondo a folti gruppi di poliziotti con i caschi che ancora rastrellano l'area casa per casa. «I suq non hanno aperto, ma quando siamo usciti in strada, le vie erano piene di polizia. Scudi, manganelli, mitra», incalza il ragazzo. La rabbia per mesi repressa dalla popolazione è subito esplosa. «Sono iniziate delle sassaiole contro la polizia federale, che ha risposto caricando pesantemente e sparando. Assieme a loro, sono intervenuti i tammagn (reparti speciali dell'esercito etiope, fedelissimi del primo ministro Meles Zenawi, ndr)». Pesante il bilancio: 5 morti accertati, deceduti all'ospedale Tikur Ambessa. Una quarantina, almeno, i feriti ricoverati nei maggiori ospedali della capitale. Parecchi in gravi condizioni. Molti estranei agli incidenti. «Ero appena uscita da casa mia, stamattina intorno alle 10, vicino alla stazione dei bus di Addis Ketema, quando i militari hanno aperto il fuoco sui passanti». A parlare è una ragazza di 18 anni. Giace in un letto dell'ospedale Ras Desta, avvolta solo in una coperta di lana in uno stanzone maleodorante. È ferita gravemente al petto. Ha paura a raccontare quello che è successo. Chiede di rimanere anonima. «Intorno a me, quando sono stata ferita, solo gente inerme», aggiunge. Le sue parole trovano conferma in ciò che dice un altro ragazzo ferito. Anche lui ha 18 anni, e ieri un proiettile di kalashnikov gli ha distrutto il braccio sinistro. «Stavo cercando di andare a scuola, a vedere se la mia iscrizione era stata accettata. Ero con alcuni amici. Camminavamo a lato strada. Poi sono arrivati i federali ed hanno aperto il fuoco», aggiunge in una smorfia di dolore. Il fratello mostra la radiografia, l'osso esploso in mille pezzi. Intorno, infermieri vanno e vengono, l'agitazione è palpabile. Qualcuno piange. Nella stanza accanto, un ragazzo è ferito al viso, il sangue sgorga dalla bocca. Poco più avanti, tre cadaveri attendono, distesi su barelle, di essere ricomposti.

La tensione è ancora alta in molta parte della città; molte strade nella zona nord sono ancora ostruite da barricate di massi e copertoni dati alle fiamme, mentre le squadre di polizia rastrellano, ammassando giovani agli angoli delle strade che poi caricano sui camion e portano via.

D'altronde, la situazione politica interna in Etiopia attendeva solo di esplodere nuovamente. Dopo le contestatissime elezioni del 15 maggio scorso - che il partito di Zenawi dichiara di avere vinto democraticamente - e le ripetute accuse di brogli da parte dell'opposizione, forme di protesta nei confronti del governo venivano continuamente annunciate e rimandate.

Il neo-ministro dell'informazione, Berhan Hailu, ha fatto ricadere tutte le responsabilità degli incidenti sul principale partito di opposizione, il Kinjit. «Promuovendo queste forme di protesta, stanno portando avanti un proprio piano, mirante alla distruzione della pace e della stabilità del paese», ha dichiarato. L'opposizione, dal canto suo, ha convocato un incontro con i giornalisti per prendere posizione sull'accaduto. Il portavoce del Kinjit, Gizachew Chiferaw, ha fatto in tempo a dichiarare al manifesto che, «ancora una volta, la polizia etiope ha esagerato con l'uso della forza. Noi stiamo incitando i nostri sostenitori a proseguire sulla linea delle manifestazioni di dissenso pacifiche, dunque incolparci delle violenze è pura follia». Ma, poco dopo la fine della conferenza stampa, tutta la leadership del Kinjit è stata arrestata (e pare malmenata). Sono stati portati via da un ufficio del partito il presidente Hailu Shawel, il vice-presidente e futuro sindaco della capitale, Berhanu Nega, appunto Chiferaw, e altri 3 membri del comitato esecutivo.

Mentre continuano gli scontri con le forze dell'ordine nella zona di Merkato, dove la popolazione sta tentando di impedire ai reparti antisommossa di rastrellare giovani dal quartiere, l'opposizione ha indetto per oggi uno sciopero generale.



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