C'ERAVAMO TANTO ARMATI

Una Costituzione imbevuta di petrolio

BAGHDAD
ALBERTI FABIO,IRAQ/USA

Per definizione una Costituzione dovrebbe rispecchiare un accordo sostanziale tra tutte le principali componenti di una nazione sugli elementi fondativi di uno Stato, basato su un larga condivisione popolare. Quando questo accordo esiste la Costituzione è la base per lo sviluppo sociale a lungo termine, per la stabilità e per la pace. Quando l'accordo non c'è, come per il testo di costituzione sottoposto a referendum in Iraq, la Costituzione può essere la base per una prolungata instabilità, per una guerra civile o per una dittatura. Una Costituzione dovrebbe unire un paese. Questo referendum, invece, lo ha ulteriormente diviso. E non c'era bisogno di attendere i risultati del referendum per saperlo. Le conseguenze si vedranno nei prossimi mesi, o anche anni. La Costituzione consente di dare vita a macroregioni su basi etnico-confessionali con forti poteri di controllo sul petrolio. Se questa possibilità sarà perseguita, come sembra intenzione sia dei kurdi che degli sciiti, le conseguenze potrebbero arrivare alla guerra civile aperta. Per il petrolio. E' stato il petrolio, infatti, il vero oggetto dello scontro politico sulla Costituzione. L'articolo chiave è il 109. Con esso gli Usa si sono assicurati la possibilità della privatizzazione delle risorse energetiche. Per un altro verso esso assegna alla Regioni - che hanno poteri da quasi statuali con propri eserciti e magistrature - un forte controllo delle ricchezze petrolifere, che sono concentrate nel nord kurdo e nel sud sciita. E' stato questo il motivo principale di opposizione al federalismo da parte della comunità sunnita, che potrebbe rimanere «a secco» e data la posta in gioco è facile immaginare che la parola sarà ancora alle armi. Si dice che dove c'è petrolio non ci può essere pace. Bush (e Berlusconi) inneggiano ancora alla «democrazia in marcia» mentre migliaia di iracheni continueranno a morire.

E sono gli iracheni i grandi esclusi da questo processo che hanno chiamato «democratico». Mentre continua a persistere una gravissima situazione umanitaria, sono stati chiamati a votare su un testo che non conoscono e che non hanno avuto la possibilità di discutere. Si è votato, dunque, per appartenenze, come dimostrano le percentuali «bulgare» sia dei no e che dei sì in alcune zone del paese. Già la dottrina coloniale inglese di inizio secolo diceva che per controllare la Mesopotamia bisognava mettere gli sciiti contro i sunniti. Bush non ha avuto molta fantasia.

Inutilmente politici, intellettuali e organizzazioni della società civile avevano chiesto tempo. Tempo per negoziare, tempo per discutere, tempo per partecipare. Il tempo necessario per fondare uno Stato che sia di tutti. Ma il processo che ha portato alla stesura del testo non è stato gestito in Iraq, i suoi tempi rispondevano più alle necessità dell'amministrazione Bush, che ha investito un enorme patrimonio politico su questa scadenza, che a quelle della popolazione irachena.

Dalle organizzazioni della società civile - mentre le elites politiche discutevano di distribuzione del potere - è venuta una grande la preoccupazione per il pericolo che il forte carattere confessionale, determinasse una precarietà dei diritti in teoria affermati, ed in particolare un arretramento della condizione delle donne. Ma su questo sia gli Usa che le elites politico-religiose che hanno negoziato, o che si sono opposte, sono state insensibili.

«E' una Costituzione in cui sono disseminati candelotti di dinamite. Non sappiamo quando esploderanno. Ci vorrebbe tempo per discutere e disinnescarli. Ma Bush non ce lo ha dato» mi ha detto un noto esponente di un' organizzazione dei diritti umani, «non si capisce se dobbiamo fare la Costituzione per noi o per Bush».

Il fatto è che nessun processo politico realizzato all'ombra della occupazione militare potrà portare la pace per gli iracheni. Ancora oggi il maggiore contributo che si può dare alla pace in Iraq è riportare le truppe a casa, subito, e non a 300 alla volta, e sostenere un processo politico iracheno che sia autonomo dall' ingerenza Usa.

*Un ponte per...

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