L'attenzione all'argomento è maggiore di quanto meriti, almeno in relazione ad altri grandi mali che affliggono l'umanità. Si tratta di un difettuccio che affligge in generale il nostro sistema informativo. E' probabile che, a meno di evoluzioni improvvise, i titoli passino a breve sulle pagine interne dei giornali per poi, forse, sparirne del tutto, almeno finché l'epidemia resterà confinata al mondo animale. Infatti il famigerato virus H5N1 colpisce gli uccelli, e, almeno nella nostra società, è assai improbabile che si trasmetta agli esseri umani: è successo in Estremo oriente, in società prevalentemente agricole, dove il contatto con animali vivi è quotidiano per la grande maggioranza degli abitanti. Finché il "passaggio agli umani" non avviene, la conseguenza più significativa di quest'epidemia (più propriamente panzoonosi, ovvero epidemia che riguarda gli animali), sarà l'impatto sull'economia delle aziende in qualche modo connesse con l'allevamento, la distribuzione ed il commercio di uova e pollame. Le prime vittime ignorate sono le popolazioni di uccelli selvatici, migratori e stanziali. Paradossalmente, sono i cacciatori che tengono d'occhio la situazione e che saranno i primi a testimoniare il probabile scempio. Finora i pochi studi effettuati sembrano portare alla conclusione che i piccioni non siano suscettibili all'infezione e non la trasmettano, ma sappiamo bene che il virus evolve continuamente e rapidamente.
L'allarme per la nostra salute è del tutto prematuro e, quel che è più grave, non è accompagnato da misure atte a mitigare l'impatto di un'eventuale epidemia, anzi al contrario genera un'ansia diffusa che nuoce alla società. Per non parlare di dichiarazioni stupide e criminali come quella del presidente Usa Bush, che ha recentemente paventato l'uso delle forze armate per forzare la quarantena di zone colpite. Una mera esibizione di forze nel tentativo di nascondere una (consapevole?) impotenza. Tuttavia la possibilità che prima o poi si scateni un'epidemia non è trascurabile e non va trascurata. I casi di trasmissione a esseri umani registrati finora si sono tutti verificati nella penisola indocinese: Indonesia (5), Vietnam (91), Thailandia (17), Cambogia (4), per un totale di 117 casi di cui 60 mortali. I modelli teorici più ottimisti mostrano che, per poter sperare di arginare eventuali focolai, sono necessarie misure capillari e considerevoli risorse. Non a caso, la premessa di uno degli studi parla di «come contenere la diffusione del nuovo ceppo virale o almeno rallentare la diffusione iniziale per guadagnare tempo allo sviluppo di un vaccino». Sempre dallo studio di modelli si vede come sia di importanza cruciale la rapidità di identificazione dei nuovi casi e di intervento presso tutti i contatti delle persone malate o possibilmente infette. Questo presuppone un servizio sanitario diffuso ed efficiente, cosa che non sempre si verifica nelle zone più a rischio (non pare strano che il Laos, uno tra i paesi più poveri del mondo, disposto tra Vietnam, Cambogia e Thailandia, non abbia registrato alcun caso?).
A rigor di logica, la prima cosa da fare dovrebbe essere mettere tutti i paesi a rischio in grado di affrontare il focolaio: intensificando l'assistenza medica e informando le popolazioni sui rischi e sulle misure preventive più elementari (ridurre il più possibile il contatto con uccelli, osservare norme igieniche stringenti e, in caso di malattia, rivolgersi immediatamente al presidio sanitario più vicino), e rifornendo le autorità sanitarie locali dei farmaci disponibili, con raccomandazioni sensate sull'uso e sull'abuso. Sfortunatamente il mondo in cui viviamo non corrisponde proprio al modello logico, e sarà da vedere cosa e quando succederà. Anche se avessimo a disposizione tutti i più potenti modelli del mondo, gli esseri umani hanno dimostrato di essere capaci di azioni individuali e collettive di intensità estrema, nel bene e nel male. La storia non è ancora finita.
Più in generale sono ormai diversi anni che assistiamo a catastrofi "naturali" che mettono sempre più a nudo la nostra vulnerabilità. E' ormai diffusa la consapevolezza che siamo noi stessi, con il nostro stile di vita e i nostri consumi i responsabili della rovina collettiva. Questa finora ha colpito i poveri (dallo tsunami a Katrina, passando per le `carestie' del Sudan), e anche con l'influenza accade che i ricchi (noi) si attrezzano con farmaci e tentino di guadagnare tempo per i vaccini. Eppure non dovrebbe essere difficile capire che se non la smettiamo di uccidere i poveri, prima o poi toccherà a noi: lo capiremo in tempo?
* Biologa, ricercatrice Cnr