I SENZA NOME

Guatemala, i villaggi trasformati in cimiteri

BERETTA GIANNI,GUATEMALA/ATITLAN

Un camposanto: così è stata dichiarata la comunità indigena di Panabaj, sulle rive del lago Atitlan in Guatemala. Le precipitazioni copiose e ininterrotte da oltre una settimana, portate dalla tormenta tropicale Stan, hanno provocato giganteschi smottamenti ai piedi dei vulcani Toliman e San Lucas che hanno sepolto i villaggi dell'intera area di Santiago Atitlan sotto una dozzina di metri di fango, con almeno 1.400 vittime se si conta la vicina località di Tecpan. Le autorità hanno invitato a sospendere l'impossibile ricerca delle persone scomparse; continua a piovere e incombe il rischio di altre frane. Ma gli indigeni tzutuiles superstiti continuano disperatamente a scavare nella melma per dare sepoltura ai propri cari secondo le usanze ancestrali maya.

I soccorsi sono resi impraticabili dall'interruzione delle strade del dipartimento di Sololà che scendono ripide verso il bacino lacustre. Quattrocento turisti erano stati allontanati dalla zona nei giorni precedenti. Il lago si è trasformato in una grande pozza di fanghiglia che cresce col passare delle ore e che ne ostacola la navigazione. Neppure i pochi elicotteri della forza aerea guatemalteca riescono a operare con continuità per le avverse condizioni del tempo, lasciando interi paesi isolati e abbandonati a se stessi.

E così, uno scenario magico come quello delle sponde del lago Atitlan, con i maestosi vulcani che lo attorniano e le nuvole e i colori che fanno loro da corona si è trasformato in un luogo di morte e distruzione. Ma non è solo questa nota regione turistica ad essere stata devastata dalle piogge torrenziali. Pressoché tutto il Guatemala è inondato e paralizzato. Vie di comunicazioni e decine di ponti sono stati spazzati via dalla furia dei corsi d'acqua. La stessa Carretera Panamericana è intransitabile in più punti. Le vittime, i feriti e i senza tetto sono in numero incalcolabile e crescente; anche perché continua e continuerà a diluviare anche nei prossimi giorni. Il presidente Oscar Berger non ha potuto fare molto di più che dichiarare lo stato di calamità nazionale e lanciare un appello alla comunità internazionale per l'invio di aiuti di emergenza.

L'uragano Stan era entrato dall'oceano Atlantico lo scorso 1 ottobre all'altezza di Veracruz convertendosi in una tormenta tropicale che ha sconquassato tutto il sud del Messico con un bilancio di circa 150 morti e due milioni di sinistrati in ben 252 municipi. L'incontro di Stan con una depressione tropicale situata sul Pacifico (che si estende fino alla Colombia e all'Ecuador) ha determinato la persistenza e la copiosità delle precipitazioni che si sono estese verso sud al Guatemala e al Salvador. In quest'ultimo paese (dove si contano per ora un centinaio di morti e decine di migliaia di sfollati) l'alluvione è stata accompagnata dal contemporaneo risveglio del vulcano Santana e, come se non bastasse, da un terremoto del sesto grado della scala Richter che fortunatamente ha avuto modeste conseguenze, salvo moltiplicare a dismisura il panico fra la popolazione.

Si è ripetuto dunque il fenomeno disastroso dell'uragano Mitch dello stesso mese di ottobre del 1998 che colpi allora in maniera catastrofica soprattutto il Nicaragua e l'Honduras. E le previsioni per le prossime settimane non sono per niente incoraggianti. Gli effetti di questa «convergenza intertropicale» si faranno sentire ancora fino a domenica prossima (salvo una tregua nel sud del Messico); mentre è in vista un'ulteriore tormenta che da Panama risalirà all'incontrario l'istmo centroamericano verso il Costa Rica e il Nicaragua, con conseguenze imprevedibili per un territorio già particolarmente fragile e vulnerabile dal punto di vista ambientale; con i suoi abitanti in condizioni sempre più povere e disperate; e dove i raccolti sono andati completamente distrutti: a partire dal caffè, alla vigilia di un raccolto che si preannunciava promettente per un certo recupero del prezzo sul mercato internazionale.



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