Il rebus Cuba - la continua altalena fra atti e fatti che indicano aperture e altrettanti di segno assolutamente opposto - travaglia il cuore di ogni militante di sinistra che fatica a capire il senso di quanto accade nell'isola. «Cuba fa male», aveva scritto Eduardo Galeano subito dopo, nella primavera del 2003, la condanna a morte di tre dirottatori e l'arresto di 75 dissidenti. E subito dopo aveva aggiunto: «Cuba ci fa male», per confessare che quell'isola che continua ad essere, nel bene e nel male, socialista, contro tutto e tutti, ci sta nel cuore e ogni incomprensione è una ferita sanguinosa. Il libro di Aldo Garzia, Cuba dove vai? (edizioni Alegre, pp. 166, 12), è tutto attorno a questo tormento e al vero e proprio dilemma che rappresenta la tenuta di Fidel Castro e del suo governo a 15 anni di distanza dalla dissoluzione del blocco sovietico e dalla trasformazione radicale del comunismo asiatico. Che smentisce le previsioni di tutti i politologhi del mondo che ogni anno prevedono la fine di questo esperimento, nato anomalo nel 1959 e sempre più anomalo nel terzo millennio.
La statua di Lennon
Il libro di Garzia non è comunque fatto di stati d'animo: è la ricostruzione attenta di quanto è accaduto negli ultimi cinque anni, forse i più contraddittori di questa vicenda. Uno strumento utilissimo per ragionare più lucidamente su Cuba. Fornita da un autore che Cuba la conosce benissimo e ora la guarda con la necessaria distanza che gli viene dal suo più recente amore per la Svezia, e in particolare per Ingmar Bergman, cui ha dedicato il suo ultimo libro.
Il racconto di Garzia parte dagli esiti positivi del 2005: l'iniziativa di Zapâtero che porta alla scarcerazione di molti prigionieri politici e alla successiva sospensione delle sanzioni europee. Ma poi ripercorre a ritroso lo schizofrenico succedersi dei fatti degli anni immediatamente precedenti. Le inattese aperture: la visita di Jimmy Carter, il suo discorso critico all'Università dell'Avana trasmesso in diretta da tutte le Tv e le radio del paese e pubblicato integralmente su Gramma; la conferenza sull'immigrazione presenti 400 delegati della diaspora cubana, la metà proveniente dagli Stati uniti, cui vengono concessi permessi, borse di studio per i figli, il diritto di tornare a godersi la pensione in patria; l'autorizzazione al dissidente più importante, Oscar Pajà, di andare a Strasburgo per ricevere il premio Sakarov conferitogli dal parlamento europeo; assai maggiore libertà di viaggiare per i cubani; la visita del Papa; la spettacolare inaugurazione in una grande piazza della capitale stracolma di ragazzi, del monumento dedicato a John Lennon, Fidel presente e quasi autocritico per non aver capito subito e a pieno la valenza rivoluzionaria della generazione dei Beatles, «migliaia di sognatori anticonformisti», titolerà il giorno dopo Juventud Rebelde.
E però intanto il rifiuto del referendum sulle riforme democratiche (il progetto Varala) e anzi l'introduzione nella Costituzione di una ancor più rigida norma a tutela dell'irreversibilità del carattere socialista del paese, votata da una «bulgara» maggioranza del 97 per cento. E poi gli arresti, le condanne a morte, le improvvise sanguinose rotture con paesi che pure si sono differenziati sia pure timidamente da Washington.
Gli stati canaglia
Ma come anche Amnesty, che pure denuncia l'esistenza di 600 prigionieri politici, ammette, non si può giudicare Cuba senza tener conto delle tensioni determinate dalle posizioni americane, ben oltre al secolare embargo, gli atti più recenti: Condoleza Rice che nell'assumere il suo incarico di segretario di stato annovera Cuba fra gli «stati canaglia», uguale, dice, all'Iraq di Saddam e all'Afganistan dei Talebani; le provocazioni che nessuno stato accetterebbe da un rappresentante diplomatico, quelle di Jame Casey, semi-ambasciatore degli Stati uniti all'Avana; le 450 pagine preparate dalla Casa Bianca per l'auspicata transizione democratica che prevede la restituzione di appartamenti, fabbriche, terre e miniere a suo tempo nazionalizzate e il divieto per il Pc cubano di presentare candidati alle elezioni che dovranno tenersi nella Cuba finalmente «liberata» (come l'Iraq?); e, infine, le carte della Cia, rese pubbliche dopo l'89, che documentano ben 637 tentativi di assassinio di Fidel, una media di uno al mese, via avvelenamento del sigaro o del cibo o bombe. (Assai generosa appare alla luce di questi documenti ufficiali il costante rifiuto di Castro di equiparare terrorismo e terrorismo di stato).
Resta l'interrogativo: come ha potuto sopravvivere il regime cubano, dopo che il crollo del blocco sovietico aveva portato al tracollo della sua economia che dai commerci con quei paesi dipendeva per l'80 per cento? E che per via di quella rottura potrà ritrovare il livello di vita degli anni `80 soltanto nel 2014? Come è possibile che, nonostante le repressioni, la cultura fiorisca in tutti i campi, nella letteratura, nel cinema, nella musica, nelle scienze, frutto di una organizzazione di base della scuola che ha rari paralleli? La spiegazione non può essere quella del regime di polizia. Cuba, con tutti i suoi difetti, non è la Rumenia di Ceasescu, fa ridere il documento della Casa Bianca che programma, dopo l'aspirato rovesciamento di Fidel, la vaccinazione di tutti i bambini cubani, ignorando che il suo sistema sanitario è di gran lunga superiore a quello degli stessi Stati uniti.
Un generale nel labirinto
Aldo Garzia non trae conclusioni, non giudica. Documenta le difficoltà, elenca i problemi, spiega le resistenze dell'Avana verso qualsiasi apertura al mercato che potrebbe liberare l'economia paralizzata dalla soffocante gabbia burocratica che l'imprigiona, perché introdurrebbe fatalmente meccanismi di differenziazione sociale che sono tutt'ora base del consenso che c'è. E' un fatto che chi pensava - annota Garzia - di aver letto nel libro di Garzia Marquez, «Il generale nel labirinto», dedicato agli ultimi tristissimi giorni di Simon Bolivar isolato e sconfitto, la vicenda di Fidel, è con un Fidel più brillante e ironico che mai; e anche più forte per via dei mutamenti politici intervenuti in America Latina e per il protagonismo nel continente della Cina, tutti fattori che hanno ridotto lo strapotere di Washington nell'emisfero.
Ogni previsione sul futuro di Cuba è destituita di fondamento, conclude Garzia. Ma è un fatto che Cuba è lì, ancora parte dell'immaginario eroico dei popoli del suo continente e non solo. Forse anche per via della spavalderia del suo leader che a Oliver Stone spiega così la sua strategia. «Se nuotando incontri il barracuda se hai paura e cerchi di raggiungere la riva, sei spacciato. Al contrario, se lo fissi negli occhi, l'uccisore se ne va. Come con i cani». E poi aggiunge divertito: «Con questo non voglio certo paragonare il presidente degli Stati uniti ad un cane».