«Vota George Weah, per una Liberia migliore». Così recita la maglietta che indossa Bruce, uno dei numerosi membri della sicurezza personale di George Oppong Manneh Weah, ex-calciatore del Milan e primo Pallone d'Oro africano. Così sta scritto sulle decine di migliaia di volantini e adesivi appesi in tutta Monrovia, la capitale della Liberia, in vista delle prossime elezioni presidenziali previste per l'11 ottobre. Ed è proprio George Weah il favorito nei sondaggi come nuovo presidente liberiano. È lui l'uomo nuovo nel folto gruppo dei 22 candidati a succedere al presidente del governo di transizione nazionale, Gyude Bryant, insediatosi nel 2003 in seguito agli accordi di pace di Accra che hanno portato in esilio a Calabar, in Nigeria, l'ex-presidente e signore della guerra Charles Taylor. «Andrò a votare per l'Ambasciatore (dell'Unicef, ndr) Weah perché è un uomo che viene dalla strada. Ha fatto fortuna grazie al proprio talento e alla propria professionalità, ha girato il mondo, è diventato ricco. Non ha bisogno dei soldi dei liberiani, non sarà un presidente corrotto. E' vicino alla gente comune», dice Cathy, ventiquattro anni, da poco rientrata dal campo profughi in Ghana in cui ha vissuto dal 1999. E' una dei tantissimi sostenitori che ogni mattina accompagnano l'ex-calciatore nella sua campagna elettorale, in giro per i quartieri popolari ed i mercati di Monrovia. In un paese in cui l'età media è 18 anni, avere il sostegno dei giovani è fondamentale, per diventare presidente. Weah lo sa, e di questo si fa forte nei suoi comizi tra la popolazione. «Io conosco voi, voi conoscete me. Conosco le vostre necessità, i bisogni dell'uomo della strada», urla nel microfono l'ex-calciatore, decine di uomini della sicurezza a separarlo di un paio di metri da una folla di migliaia di persone. Quando termina il suo comizio, il pubblico grida il suo nome e quello del suo partito, il Cdc (Congresso per il cambiamento democratico). Quello che una volta era l'idolo della curva sud di San Siro, risale sull'enorme jeep americana che lo accompagna nel suo tour elettorale. In direzione di un altro comizio.
Seguire Weah è come sentire un disco rotto. «I miei avversari mi accusano di non avere una cultura adeguata a diventare presidente della Liberia, si chiedono come può un calciatore guidare un paese che tenta di uscire da una lunga crisi. Io rispondo che, qualsiasi cosa io abbia fatto, l'ho fatta da professionista», racconta George al manifesto, dopo essersi negato per molti giorni alle domande dei giornalisti: «Tutti i precedenti presidenti erano persone istruite, laureate. Guardate dove hanno portato la Liberia. Hanno distrutto il nostro paese. Ora bisogna pensare a ricostruire. Io restituirò alla Liberia elettricità, acqua corrente, strade, ospedali e scuole gratuiti e di qualità. Mi occuperò del reinserimento degli ex-combattenti nella società. Abbiamo bisogno di un processo di riconciliazione nazionale che recuperi i nostri giovani», aggiunge il candidato del Cdc. Come fare tutto ciò, e con che tempi, sembrano a George domande superflue. Weah preferisce insistere sulla propria alterità rispetto all'intero sistema politico liberiano. «Non sono mai stato coinvolto in nessuna delle fazioni che hanno insanguinato il mio paese. Ogni volta che sono tornato a casa, ho aiutato i miei concittadini», conclude.
«Non ho notizie dei miei genitori da quando ero piccolo», dice Bensah, quindici anni, mentre strofina una pentola nel cortile di casa Weah. «George da diversi anni mi paga gli studi. È grazie a lui che vado a scuola. Io, in cambio, vengo a casa sua e do una mano nei lavori domestici. Sarà un grande presidente», aggiunge. Fuori dalla villa, molte persone si assiepano cantando e ballando, in attesa del prossimo comizio. Precious è felice, balla e grida il nome del suo idolo. «E' l'uomo del nostro riscatto. È diverso dagli altri candidati, non ha mai fatto ammazzare nessuno».