VISIONI

Il rumore infrange il suono

LORRAI MARCELLO,TORINO

Rumorismo, parossismo, saturazione sonora: l'importante è avere pazienza. Non nel senso che l'ascolto di Original Silence sia penitenziale, ma perché, in apparente contrasto con la sua forma più esteriore, che è quella di una notevole aggressività, di un impatto assordante, che alla fine, dopo un'ora e mezzo di performance, ti lascia con le orecchie che ronzano, per essere apprezzato a dovere questo progetto di Thurston Moore, Jim O'Rourke, Mats Gustafsson, Terrie Ex, Paal Nilssen-Love e Massimo Zu richiede un ascolto attento, in fondo non molto diverso che quello che si riserverebbe a una esecuzione di musica classica. Certo, se lo spazio non fosse quello del Juvarra, con le sue file di posti a sedere, la sua balconata e il suo decoro di piccolo teatro di altri tempi che invita alla compostezza, se l'atmosfera fosse quella di un centro sociale, Original Silence funzionerebbe egregiamente anche per accalcarsi sotto il palco e pogare, pratiche che le movenze da concerto punk/hardcore/no wave di Terrie Ex alla chitarra e di Massimo Zu al basso autorizzerebbero senz'altro: ma se ne perderebbe qualcosa, il livello più sofisticato. Non ci sarebbe di sicuro niente di illegittimo: anche Duke Ellington del resto serviva per ballare. Ma magari la bellezza di un assolo di Johnny Hodges sfuggiva più facilmente che a un ascolto da seduti. Per disporsi a un effettivo ascolto di una proposta come Original Silence, occorre innanzitutto una disponibilità al rumore e al grado elevato di suono: bisogna superare il primo momento di confronto con un volume e una densità che riempiono tutto lo spazio sonoro, e non rimanere esterni a esso ma entrare, immedesimarsi in questo spazio. Bisogna oltrepassare anche la sensazione, che in qualche passaggio all'inizio la musica e lo stesso atteggiamento dei musicisti può comunicare, che in fondo si tratti solo di un ludus, del giocare a una esasperazione sonora, a un estremismo espressivo.

Naturalmente il piacere corroborante, esaltante del rumore, della musica come fatto potentemente materico, c'è, ma è soltanto un piano del discorso. Thurston Moore, figura di culto il cui nome è legato alla innovativa band rock Usa dei Sonic Youth, ma molto sollecitato anche dal free jazz storico (ha fra l'altro collaborato con Cecil Taylor), percuote violentemente da dietro il manico della chitarra producendo tuoni a ripetizione, e «suona» le corde appoggiandoci sopra una scodella metallica; Terrie, protagonista dell'esperienza del gruppo punk olandese The Ex (a cui si deve fra l'altro un non dimenticato omaggio musical-iconografico agli anarchici nella guerra civile spagnola), e negli ultimi anni, assieme al maestro dell'improvvisazione radicale europea Han Bennink, interessato alla musica etiopica moderna, e Massimo, che con gli Zu si muove a cavallo fra rock estremo e free music di matrice jazzistica, si aggirano per il palco con la punta del manico dello strumento a sfregare per terra, quasi le chitarre fossero degli aspirapolveri; O'Rourke, che arrivando da un percorso diverso è approdato alla fine degli anni novanta ai Sonic Youth, manipola la sua strumentazione elettronica assicurando la regia sonora dell'insieme, Mats Gustafsson, svedese, uno dei musicisti che negli ultimi anni, in contatto in particolare con la generazione più giovane del jazz d'avanguardia di Chicago, ha assicurato un ponte tra improvvisazione europea e statunitense (fa parte del Chicago Tentet del sassofonista Peter Brotzman, caposcuola radicale europeo), soffia nel sax baritono e in altri arnesi evitando di cadere in cliché jazzistici; Nilssen-Love, pure scandinavo, alterna accortamente drumming free, momenti di perentoria percussione su ritmi più regolari e pause di silenzio. Da tutta questa congerie di elementi non emerge affatto una dimensione caotica, ma al contrario un'articolazione in realtà piuttosto nitida e fine del flusso sonoro, un forte senso della forma che si delinea attraverso un'intesa estemporanea: al punto che dietro una superficie decisamente diversa, e dentro una cultura musicale che a differenza di quella classica occidentale invita anche a ascoltare il suono in quanto tale e a goderne, non sfuggono i punti di contatto tra una performance largamente improvvisata come Original Silence (dove si può immaginare che i musicisti abbiano eventualmente concordato al massimo degli snodi e dei momenti di raccordo) e una composizione sinfonica, eseguita da un'orchestra, con una sua musicalità, il suo sviluppo e i suoi movimenti.

Dopo Torino, dove ha aperto la sedicesima edizione della rassegna «Dalle nuove musiche al suono mondiale» (oggi il chitarrista giapponese di culto Keiji Haino, anch'egli ascrivibile a un ambito rumoristico-estremo), e dopo Roma, Original Silence sarà questa sera al Leoncavallo di Milano, e venerdì 30 al Link di Bologna.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it