MONDO

«Gli Usa e il governo vogliono sabotare il referendum»

IRAQ
ADLY FARID, VITTONE PAOLO,IRAQ/USA

Saleh Mutalq, 58 anni, inizia a fare politica in prima persona con l'occupazione del paese. Presidente del Consiglio iracheno per il dialogo nazionale - creato dopo l'attacco a Falluja di novembre - Mutalq è stato cooptato nella commissione costituzionale ed attualmente è il mediatore per parte sunnita sulla costituzione.

Voi avete trattato con kurdi e sciiti per alcune modifiche della Costituzione. Quali sono state queste modifiche al testo originario?

In realtà non c'è stata nessuna modifica essenziale. Le uniche due trasformazioni riguardano la spartizione delle quote dell'acqua tra le province rivierasche e l'aggiunta di un altro vice-presidente della Repubblica. Non riguardano i punti che avevamo sollevato noi: unità dell'Iraq e risorse. Su questi argomenti i nostri interlocutori ci hanno sbattuto la porta in faccia.

Quindi, qual è la vostra posizione? Manterrete la vostra decisione di partecipare al referendum?

Sì, stiamo mobilitando la gente per iscriversi alle liste elettorali e votare «no». Ma vogliamo garanzie che il voto sia organizzato in forma corretta. Purtroppo le prime avvisaglie non vanno in quella direzione: le truppe Usa e il governo iracheno hanno compiuto, negli ultimi giorni, attacchi militari su vasta scala contro le città delle regioni centrale e occidentale. E' uno scenario che ricorda quello di un anno fa contro Falluja e ci induce a mettere in dubbio le buone intenzioni del governo Usa a giungere all'appuntamento referendario in un clima di calma e concordia..

Qual è il vostro atteggiamento nei confronti della lotta armata?

Noi siamo chiari sul diritto alla resistenza. Chi combatte l'occupazione straniera nella legalità internazionale ha il nostro appoggio. Siamo tuttavia contrari a coloro che mirano a distruggere le infrastrutture in Iraq, a uccidere e costringere alla fuga i quadri tecnici e scientifici per condannare il nostro paese all'arretratezza. Diciamo da sempre che quanti deviano dal cammino della resistenza contro l'occupazione non sono nel nostro campo. Vorrei però ribadire un punto: finché le truppe straniere saranno presenti in Iraq, la resistenza, con tutti i mezzi, è legittima.

La stampa inglese ha scritto che la guerriglia in Iraq è ormai controllata da Zarqawi e che anche i gruppi nazionalisti riconoscono l'egemonia degli islamisti. Questa analisi corrisponde alla realtà?

Io posso affermare che il 90% della resistenza in Iraq è un fenomeno genuinamente iracheno, portato avanti da patrioti che si battono per l'indipendenza del loro paese dallo straniero. Gli estremisti provenienti da altri paesi arabi sono un'esigua minoranza.

Il problema reale però è la sicurezza. Esiste un percorso per garantire la sicurezza alla popolazione?

Quello della sicurezza è il problema principale della nostra gente. Prima di parlare con voi, sono stato a un incontro con l'ambasciatore americano. Nel percorso ci sono decine e decine di posti di blocco. Ma questa massiccia presenza militare non garantisce la sicurezza. In Iraq non c'è sicurezza e non c'è stabilità finche ci sarà occupazione.

Credete di poter far fallire questo progetto di Costituzione?

Ci batteremo con tutte le nostre forze per non fare approvare questa Costituzione. Siamo convinti che la maggioranza degli iracheni non la vuole, non solo i sunniti. Se il referendum verrà fatto rispettando le regole, vincerà il «no». Se invece continueranno le manovre per allontanare una parte della popolazione dalla possibilità materiale di votare, sarà una costituzione di parte. E non voglio neanche pensare a una prospettiva di questo genere e agli effetti devastanti che produrrà.

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