Ne il manifesto di domenica scorsa Luciana Castellina, cui nessuno può negare un'esperienza politica notevole e una conoscenza profonda della realtà europea, si lancia in un'analisi sorprendente della situazione in Germania alla vigilia del voto e in particolare dei Verdi tedeschi. Secondo Luciana Castellina, la campagna elettorale di Fischer sul suo pullman rappresenta un tour «melanconico... già ribattezzato `viaggio d'addio'» che di fatto annuncerebbe la fine del partito verde tedesco. Questa valutazione però non trova riscontro nello stato d'animo di quelli che portano avanti la campagna ed è smentita dal fatto che dal 2001 i Verdi tedeschi non hanno mai perso un'elezione amministrativa, regionale o europea che fosse e i sondaggi li danno stabili o in leggera crescita. Questo in un contesto politico dove la vittoria schiacciante della coalizione data per vincente fino a poco tempo, cioè Cdu/Fdp (liberali) pare ogni giorno meno sicura, soprattutto da quando la Merkel ha rivelato le sue intenzioni in materia di fisco (l'introduzione della famigerata flat tax). Pur rimanendo il partner minore della coalizione di governo, il contributo dei Verdi al governo non è stato così irrilevante come sbrigativamente scrive Luciana. Senza i Verdi, la Germania non avrebbe iniziato l'abbandono definitivo del nucleare, né avrebbe aggiornato radicalmente la legislazione in materia di immigrazione e cittadinanza, ponendo fine all'odioso monopolio dello jus sanguinis. Allo stesso modo, senza i Verdi, la Germania non avrebbe iniziato a sfruttare in modo massiccio le energie rinnovabili, che hanno creato 150 mila posti di lavoro, né vi sarebbe una legislazione tanto avanzata in materia di pari diritti per gli/le omosessuali e le altre minoranze. Per non parlare del ruolo chiave avuto dai Verdi, e da Joschka Fischer in particolare, nel rifiuto tedesco di partecipare alla guerra e all'occupazione in Iraq. Luciana Castellina sembra poi non tener conto del fatto che se c'è un elemento nuovo nella discussione politica degli ultimi giorni, questo è dato proprio dalla questione ecologica e in particolare energetica. Luciana Castellina si diverte poi molto con la «omonimia» (inesistente in tedesco) tra i «Verdi» (in tedesco die Grünen) e l'importantissimo sindacato del pubblico impiego «Ver.di»: vorremmo ricordarle che il suo segretario generale è un elemento di spicco proprio dei Grünen. Ma è in particolare sul ruolo quasi messianico della rinascita del marxismo in Germania e sulla capacità di die Linke-Pds di costruire una reale alternativa che siamo in profondo disaccordo con Luciana Castellina, anche perché per ora l'unica cosa sicura che questo partito otterrà è indebolire la Spd, facilitando proprio la prospettiva da lei criticata della grosse Koalition Cdu-Spd. Con il suo programma a dir poco avventuroso, basato su promesse di aumento di salari e consumi senza dire mai da dove si prenderanno le risorse e con una profonda ambiguità rispetto ai lavoratori immigrati, i discorsi di Gysi e La-Fontaine rappresentano una velleitaria combinazione di populismo e protesta, resi ancora meno credibili dal fatto che a Berlino, dove il Pds governa, ci sono stati dei tagli brutali che hanno comportato l'eliminazione di ben 14 mila impieghi pubblici, un record fra tutti i länder tedeschi. Governare un grande paese come la Germania o come l'Italia in un contesto difficile come quello esistente oggi non è facile e sicuramente il governo rosso-verde avrebbe potuto fare meglio. Ma non è certo rispolverando vecchi slogan e ricette già fallite che riusciremo a uscire dal tunnel.
Monica Frassoni e Daniel Cohn Bendit
Cari Monica e Daniel, io sono- e penso lo siano tutti al manifesto - fra coloro che sperano in un successo dei Verdi non solo tedeschi ( tanto più se in Germania i Verdi sosterranno Ver.di, il sindacato che suona quasi omonimo nella lingua italiana e che, è vero, ha un leader che appartiene a quel partito ma è anche stato uno dei più fieri oppositori delle riforme volute dal governo). I partiti verdi, sebbene non abbiano il monopolio della questione ambientale (neppure in Germania), hanno rappresentato e rappresentano un fattore di prezioso stimolo alla costruzione della presa di coscienza ecologica della sinistra europea ed è per questo che sarebbe un grave danno se dovessero non essere più rappresentati in parlamento. Ipotesi che anche io nel mio articolo ho comunque escluso, giacché si tratta di una forza ormai consolidata. E tuttavia chiunque sia stato in Germania nelle settimane scorse ha potuto avvertire, parlando con la gente e leggendo quotidianamente i giornali, la crisi di ruolo che il partito conosce in questa campagna elettorale. Forse oltre a rivendicare i meriti della propria partecipazione al governo, non sarebbe male che ci si interrogasse anche su tante scelte (a cominciare dal Kossovo, per esempio) che hanno invece alienato ai Verdi tedeschi molte simpatie. (Anche un po' della mia, confesso). Die Linke, sono d'accordo e l'ho anche scritto, ha molti difetti. Ma un pregio enorme: aver dato rappresentanza a una sacrosanta protesta sociale che altrimenti avrebbe preso la via dell'astensione. E di aver incalzato la Spd, riuscendo persino a spostarla un po' a sinistra. Allo stato attuale dei sondaggi sembrerebbe, fra l'altro, che Verdi, die Linke e Spd potrebbero avere la maggioranza e evitare così un governo Merkel, da sola o accompagnata. Che ne pensate? Mi piacerebbe conoscere in merito il vostro parere, nella speranza che non siate fra coloro che piuttosto che costruire un'alleanza a sinistra, sia pure non come si vorrebbe, preferiscono aprire la strada alla destra.
luciana castellinaGiulia quindici anni
Giulia che si muore nel suo letto/ e non si sa perché - non ora non ancora -/ non lo sanno il padre e la madre/ - i duri affanni -/ forse a Brescia si può morire anche così/ nel proprio letto/ a quindici anni/ Marina canta nel Canzoniere Bresciano/ io stasera/ 11 settembre/ stramaledetto 11 settembre/ canto col Canzoniere Bresciano/ a Manerbio alla Festa dei Comunisti Italiani/ E non possiamo cantare per Allende/ e non possiamo cantare per le due torri/ e non possiamo cantare per Giulia/ e non possiamo cantare per Marina/ ci tocca cantare per noi/ per capire perché cazzo siamo vivi:/ a dire di un amore perso/ occorre assai meno di una data/ e però alla fine di ogni tutto/ è la data questa che ti resta/ si vive con la morte nella testa:/ stiamo vicini a te padre di Giulia/stiamo vicini a te madre Marina/ solo così questo tramonto eterno/ può darsi che ci renda una mattina
Ivan Della Mea
Una partita persa
Novantesimo minuto era la mia trasmissione preferita. In tre quarti d'ora una sintesi delle partite, appropriati commenti, moviola ecc. Adesso con «Serie A» a canale 5 mi ritrovo a dover subire due ore di interminabili sproloqui e pubblicità aspettando il servizio sulla partita. A volte i profitti hanno i loro costi e vi assicuro che i commenti dei miei amici riflettono i miei. Mediaset si è appropriata del calcio che conta e spreme gli ignavi telespettatori.
Adriano Palumbo
Un dono chiamato ombrello
Domenica 11 settembre, marcia Perugia-Assisi. Attraverso le parole di mamma e babbo (io ho solo sei mesi e ancora non so scrivere) vorrei ringraziare l'anonima signora che, impietosita al vedermi sul passeggino bagnata come un pulcino, mi ha regalato il suo ombrello: sorpresi infatti dall'acquazzone lungo la salita di Assisi, i miei genitori cercavano di proteggermi, ma senza risultato. La mia benefattrice dal key-way grondante di pioggia, della quale mamma e babbo non saprebbero ricostruire né il volto né l'accento, ha lasciato il suo dono accompagnato da un sorriso e si è inerpicata a gran passi mescolandosi agli altri manifestanti, tanto che, storditi prima per la preoccupazione, poi per la provvidenziale sorpresa, i miei genitori l'hanno persa di vista quasi subito. Ma questo gesto di solidarietà, scattato spontaneamente nell'emergenza, semplice e insieme carico di significati e sollecitazioni, tutti e tre lo porteremo sempre nella memoria e nel cuore. Resta piuttosto una questione materiale: che fare dell'ombrello qualora si rivelasse impossibile restituirlo? Ergerlo a monumento della generosità umana nell'ingresso di casa o donarlo a qualche altro fradicio malcapitato per perpetuare questa catena?
Irene, Firenze
Non mi sento fuori orario
Caro manifesto, leggo Roberto Silvestri da Venezia: «Le notti del `68, amore e cicatrici», domenica 4 settembre, sul film di Philippe Garrel, film sul `68. Roberto scrive «i testi, anche filmici, che racchiudono meglio la scultura interiore dell'epoca, sono stati messi nel frattempo tra parentesi, mandati in esilio o schiaffati in galera o su Fuori orario... Per i ragazzi di oggi le contro-opere di Alberto Grifi, Emile De Antonio o Dusan Makavejev sono irraggiungibili... ecc.». Naturalmente io, istintivamente, mi guardo allo specchio e mi chiedo se «i testi filmici» di me di allora (il `68) fanno parte di quelli con la scultura interiore, e già mi sento molto responsabile circa tale scultura, l'averla racchiusa o no o più o meno... e, per mia natura o destino, mi sento istitivamente anche al di sotto di questo, cioè mi pare di esere stato non sufficientemente rispondente circa la scultura... So soltanto che allora io mi sono messo a fare selvaggiamente cinema, cinepresa 8 mm. in mano, e non pensavo se non a sfogare il mio essere cinematograficamente selvaggio, sperando con ciò di fare cosa in qualche modo significante-significativa... Ma poi mi viene pure da rispondere che mai l'underground cinematografico italiano del `68 è stato fuori parentesi... cioè già proprio allora, nel suo nascere... mica siamo tutti Warhol (e io lo ritengo mio ispiratore)... o comunque americani... Anche perché allora io ad esempio (ma forse io non sono abbastanza esemplare) mi sentivo addirittura fiero di essere uno tra parentesi, cioè allora si diceva di credere nella contro-cultura e questo «contro» è certo già meglio della parentesi... o anche comunque, chi era underground voleva attestare una non-appartenenza, un essere fuori o sotto o sopra, dipende... (altrimenti che stai a fare l'underground?). Ma so anche che `ste cose le dico per me e per chi stava con me, e eravamo in pochi, se ricordo bene... cioè persino all'interno dell'underground eravamo uno diverso dall'altro, e per fortuna...
E allora cosa dire dell'oggi? Ecco io direi che non mi sento «mandato in esilio o schiaffato in galera o su Fuori orario», come scrive Roberto, cioè non certo più di ogni mio contemporaneo che si trova a vivere nell'esilio o nella prigione del mondo come è oggi (o sempre è stato... ma forse prima c'era più speranza e vivacità)... E in quanto a Fuori orario, guai (per me) a chi lo tocca! ce ne fossero di Fuori orario! Anzi, io proporrei al mondo intero una epidemia dilagante (come ad es. quella dei polli) di fuori orari... anche se confesso ci ho impiegato alcuni anni a imparare a registrare su cassetta i fuori orari (mi capita che ho sonno a quelle ore), ma la vita e lo stare al mondo si sa sono facili solo per i pochi che possono e hanno, io in questi giorni ho scritto che per il cinema mi sento come un panno steso al sole ad asciugare... cioè che ci faccio qui? E io non aspiro certo alle audience sterminate a cui pensa sempre il cinema, anche se i miei film si rivolgono sempre a tutti (e a nessuno...). Mi fermo qui. Con amore e stima per Roberto e il manifesto, voglio dire.
Tonino de Bernardi
Precisazione su Erich Kuby
Il giornalista tedesco Erich Kuby, morto recentemente a Venezia, aveva lavorato dopo la guerra alla riorganizzazione della stampa in Baviera, per conto dell'amministrazione militare americana. Ma non ha avuto nulla a che fare con la concessione di licenze agli editori Augstein, Springer e Nannen, che operavano a Amburgo nella zona d'occupazione britannica. In un articolo pubblicato il 13 settembre avevamo ripreso una dichiarazione in questo senso, attribuita dall'agenzia Associated Press a Clemens Kuby, uno dei figli di Erich. Noi, aggiungendo errore all'errore, l'avevamo invece attribuita al suo figlio più giovane, Daniel. Ci scusiamo della confusione con la famiglia Kuby, a cui la redazione del manifesto si sente vicina nel lutto per la perdita di Erich.