Appuntamento per tutti alle 8 del mattino nel parcheggio del Pentagono ad Arlington, Virginia. Un cadetto della marina ci accoglie e ci indirizza verso la prima stazione del percorso che ci permetterà di accedere alla Freedom walk, la marcia per non dimenticare le vittime dell'11 settembre e, soprattutto, sostenere le truppe e un'amministrazione zoppicante. La marcia era stata ideata come parte di una nuova offensiva mediatica per risvegliare il patriottismo stanco degli americani, giocando sulla consueta miscela di immagini, emozioni, sentimenti e paure che l'11 settembre risveglia. Ma Katrina ha scompaginato le carte, e la manifestazione ha dovuto mantenere un tono dimesso. Il protagonista principale della sfilata è restata però la paura, la «Grande paura» su cui poggia questa guerra, nonostante la presenza allegra di famiglie piene di bambini e adolescenti, il concerto del gruppo rock dell'aviazione e quell'aria da festa paesana tipica di molti raduni americani. Primo passo la pre-registrazione obbligatoria on-line su una pagina web del Dipartimento della Difesa. Il percorso deve restare segreto fino all'ultimo momento, mentre i giornalisti potranno mescolarsi alla folla solo in alcuni punti prestabiliti: l'esclusiva è di Pentagon Channel. Dopo aver lasciato ogni tuo dato sul form on-line di adesione alla marcia, compresa la taglia per la t-shirt che ti verrà data all'inizio del percorso, devi dichiarare a quale organizzazione appartieni. Pochi, compreso chi scrive, hanno marcato la voce nessuna: la maggior parte dei partecipanti è stata reclutata (come si conviene a un ministero della guerra) tra i vari dipartimenti di Washington, le associazioni dei veterani, i parenti dei militari, i lavoratori delle basi militari della Virginia, i dipendenti delle company che finanziano l'evento, come McDonald, AmericaOnLine, Lockheed Martin, Subway, Washington Times... E nel piazzale ognuno andrà con i propri: è quel grande mondo che vive grazie e attorno all'esercito degli Stati uniti. I partecipanti sono in prevalenza bianchi, ma sono numerose anche le famiglie ispaniche e di colore, proprio come nell'esercito.
Dopo aver mostrato il proprio numero di registrazione a un ufficiale di polizia si viene perquisiti; subito dopo si passa a ritirare una piastrina militare di metallo che ricorda l'11 settembre e la t-shirt bianca con cui si marcerà, davanti il logo della Freedom Walk e dietro l'elenco degli sponsor; ancora manca il braccialetto rosso che un altro poliziotto avvolgerà attorno al polso («si ricordi signore, non va tolto e non va ceduto»), ultimo passo prima di arrivare all'agognato piazzale. Non è più la celebrazione in pompa magna che doveva aiutare il presidente a ricostruire il consenso per la guerra in Iraq ma è comunque, per quasi tutti quelli che vi partecipano, un'isola felice e allegra. Ci sono i «nostri». «Nice to be American today», dice un signore in fila. La piccola folla davanti al Pentagono è unita, compatta e risponde in modo corale ai riti che la cerimonia prevede: il canto «God Bless America», tutti in piedi a scandirne le note con la mano sul cuore; la preghiera a testa bassa per le vittime dell'11 settembre, dell'uragano Katrina e per i militari morti in Afghanistan e in Iraq; l'urlo «We support you» quando lo speaker chiede di salutare le truppe che guardano la marcia in diretta tv nei loro campi base all'estero.
Anche la partenza (alle 10 in punto, come da programma), è in pieno stile da parata militare: in tutta solennità il picchetto d'onore che porta la bandiera a stelle e strisce raggiunge il punto di inizio e guida la marcia. Subito dietro le divise bianche dei giovanissimi cadetti della marina, e poi le cinque mila t-shirt dei partecipanti, che attraversano il Memorial bridge a un ritmo estenuante, da corsa podistica. Subito dopo il ponte, tenuti a una distanza di 100 metri, esattamente 23 manifestanti pacifisti a cui è stato concesso di arrivare fin lì ingaggiano con la folla una competizione di insulti e grida: da un parte «God hate Usa», dall'altra lo slogan ossessivo «Usa, Usa». La marcia si ferma poco prima del Memoriale per i caduti della Seconda guerra mondiale, in un enorme parco che ricorda tutte le guerre che gli americani hanno combattuto. Ogni lato è recintato e presidiato, chi esce non ha più diritto di rientrare.
La gente si stende sul prato, beve, mangia, ascolta il concerto della country star Clint Black, si esalta all'arrivo di Donald Rumsfeld, gioca con il frisbee e il pallone da football. Una felice immagine da pic-nic, ma da regalare solo a chi è dentro al recinto, rigorosamente inquadrato nell'America che sta dalla parte giusta. Fuori dal recinto ci sono i loro ragazzi con l'elmetto e il fucile.