EUROPA

Il tunnel della sinistra tedesca

E DOPO IL 18 SETTEMBRE?
CASTELLINA LUCIANA,BERLINO

«No, non sono melanconico», risponde Joschka Fischer ai tanti che gli rivolgono questa domanda lungo il percorso - 14.000 km e 60 città - che l'orgoglioso e spesso sprezzante ministro degli esteri di uno dei paesi più potenti del mondo, ormai ridiventato solo leader di un partito che si aggira nei sondaggi sul 7-8 %, sta percorrendo a bordo di un autobus affollato da invecchiati militanti verdi. Perché melanconico è il tour, già ribattezzato «viaggio d'addio». E melanconica è la condizione di questo partito che, pur piccolo, ha segnato negli ultimi 25 anni momenti importanti della storia tedesca, e non solo: perché è stata la prima espressione politica del movimento ecologista; perché ha spezzato il duopolio che nel dopoguerra avevano sempre conservato Cdu-Csu e Spd che, a turno, si annettevano i liberali, dando voce a una sinistra radicale che in Germania non c'era più stata ed era rinata nel '68; perché aveva consentito alla socialdemocrazia, nel 1998, di tornare al governo. Di tutti questi appannaggi ai Verdi tedeschi non è restato quasi più nulla: sbiadito l'ecologismo; ancor più l'anima di sinistra; il suo apporto governativo tristemente superfluo visto che, come appare ormai inevitabile, i suoi voti non basteranno alla Spd per mettere assieme una maggioranza e in nessuna altra coalizione risultano utilizzabili. I Verdi rischiano anzi di diventare il quinto partito, perché superati dagli altri due piccoli: i vecchi liberali e la nuova Die Linke-Pds.

Verde sbiadito

Per questo della loro campagna elettorale non si parla quasi. Se si sente dire «verdi» è in generale perché ci si riferisce a «Ver.di», che è la sigla del combattivo sindacato del pubblico impiego (eröffentliche Dienst), il più vicino a Lafontaine.

Per smarcarsi dalla catastrofe socialdemocratica i Verdi cercano di prendere le distanze dall'operato del governo di cui fanno tuttora parte: sul Kosovo, sulle riforme sociali, e così via. «Se non si vuole essere solo partito di protesta - si giustificano - bisogna essere responsabili e noi, in quanto partner minore della coalizione, non potevamo che subire». Ma il punto - lo sanno tutti - non è questo: è che dietro non hanno più movimento e davanti nessun programma significativo che rinverdisca la loro identità.

I più avvertiti ammettono che il partito è oggi di fronte a un passaggio storico analogo a quello di quando, nel 1990, restarono, sia pure per una manciata di voti, fuori dal parlamento e dovettero poi, per quattro lunghi anni, resistere e riattrezzarsi a entrare nel gioco politico. Questa volta il superamento del tetto del 5 % non è certo in discussione, perché sono ormai una forza consolidata e i ceti che rappresentano - professionisti e insegnanti soprattutto - hanno subito meno dei tradizionali elettori socialdemocratici i colpi apportati dalle riforme rosso-verdi.

Ma anche se torneranno nel Bundestag, i Verdi rischiano di restare comunque ininfluenti: perché non necessari a costituire una qualsiasi coalizione che non sia quella cosiddetta «rosso-rosso-verde», i cui tempi appaiono per ora assolutamente immaturi; perché ormai incapaci di essere opposizione, un ruolo nel quale sono stati sostituiti dal nuovo partito di sinistra. Ma una qualche presenza ce l'hanno nel dibattito ideologico, che rappresenta uno degli aspetti di questa campagna elettorale. In particolare sulla posizione delle donne, che a un partito che ha una rappresentanza femminile in parlamento del 60% sta particolarmente a cuore. Un tema tanto caldo da indurre a intervenire pubblicamente - rompendo il tradizionale riserbo imposto alla first lady - persino la moglie di Schröder.

L'ingombro femminile

La polemica ha anche un risvolto pratico: il tipo di aiuti che va dato alle madri (sempre più `svogliate' nel fare figli, che qui nascono quasi solo turchi). La destra ha rispolverato le famose 3 K con cui da sempre è stato in Germania identificato il campo conservatore: Kinder ( bambini), Küche (cucina) , Kirche (chiesa), quest'ultima parola essendo però diventata Kirchof, il nome del ministro delle finanze in pectore della Merkel, il quale vorrebbe una riforma fiscale che dovrebbe facilitare le donne in quella che egli chiama la loro «naturale carriera: stare a casa e occuparsi della famiglia». Tuonano contro questa ipotesi verdi e rossi che vogliono invece usare il Familiengeld (sussidio familiare) per aprire asili nido e sostenere le donne nel loro doppio ruolo di lavoratrici e madri.

Tutto il dibattito sulle tasse - che in questa campagna elettorale dove nessuno si azzarda a proporre visioni di qualche respiro straripa - sebbene verta su minuziosi dettagli tecnici che affogano nella noia i confronti televisivi, ha una sua nobiltà ideale e scava un solco fra destra e sinistra. Oltre al ruolo delle donne è in ballo il carattere progressivo o meno dell'imposizione fiscale: che Kirchof vorrebbe fosse indiretta, e per quella diretta propone un tanto a testa (la Kopfpauschale) e non più proporzionale al reddito individuale; gli altri invece la vorrebbero ispirata alla giustizia sociale.

Perché votano per la Cdu?

I più poveri dovrebbero dedurne che votare Cdu è pericoloso per loro, ma così non è: sia perché il governo, tradendo i suoi principi, ha favorito le grandi aziende nella speranza (delusa) che quanto non più versato all'erario sarebbe stato reinvestito per creare posti di lavoro; sia perché il sistema fiscale socialdemocratico è così intricato per via dei mille contributi e delle mille esenzioni previste, che anche un operaio deve ricorrere al commercialista per compilare la sua cartella. Una denuncia dei redditi facile diventa così un'aspirazione più sentita di quella per l'uguaglianza. Per quanto poi riguarda le donne non si può sottovalutare il fatto che, anche qui, è arrivata l'onda lunga dei neocon che ha ricevuto una insperata spinta dall'inaspettato papa tedesco.

Questa spinta ha aiutato la poco immaginifica «Angie» a presentare almeno le parvenze di una sia pure reazionaria identità laddove i suoi avversari ne hanno ben poca.

L'acqua alta non porta pesci

Per di più, a pochi giorni dal voto, Schröder, di solito abilissimo a tirare fuori dal cappello un tema vincente - la volta scorsa fu la guerra all'Iraq e l'alluvione - non è stato capace di dare un centro al suo discorso. Nella tornata attuale, di politica internazionale praticamente non si parla. E quanto alle catastrofi naturali - sebbene sulla nuova alluvione si sia ironizzato dicendo che dio era più vicino alla Spd che a chi si chiamava cristiano perché aveva mandato in terra tanta provvidenziale acqua proprio in Baviera, dominio (e dunque responsabilità) della destra - questa volta il miracolo elettorale non si è ripetuto. E nelle terre allagate al cancelliere - che pure era stato molto cauto per evitare di essere accusato di speculazione elettorale - la gente ha gridato, ricordando quando nel 2002 si era aggirato a lungo nel fango lasciato dal Danubio straripato: «Non vogliamo politici con gli stivali di gomma».

Ahi, la Turchia

Uno dei temi che forse porterà non pochi voti ad «Angie» (nomignolo accattivante che i pubblicitari della Cdu hanno trovato per la Merkel, che pur essendo donna non sembra riuscire ad attrarre il voto delle sorelle di genere) è la Turchia. Del problema se ne parla in modo del tutto mistificato: la Spd sostenendo la peregrina tesi secondo cui la sua adesione all'Unione europea aiuterà lo sviluppo della democrazia nel Medio oriente; la Cdu opponendovisi perché, sostiene, il suo ingresso rischierebbe di inquinare la natura cristiana del nostro continente. In realtà la Cdu specula sulla paura degli immigrati; mentre i socialdemocratici, al di là della inconsistente tesi ufficiale pensano - giustamente - che l'adesione darebbe finalmente ai tantissimi lavoratori turchi in Germania diritti che impediscano il dilagare del lavoro nero, un danno che, indebolendo i sindacati, si riflette sui lavoratori tedeschi.

Quanto alla linea programmatica della «Die Linke-Pds», non si va molto oltre la denuncia e la richiesta di ripristinare i diritti perduti in questi anni dai lavoratori. Ma decisivo è che ci sia finalmente chi dichiara la necessità di «un'alternativa contro lo spettro della nostra epoca: il neoliberismo».

Il fatto nuovo è che il ritorno del vecchio linguaggio anticapitalista non è apparso come un rigurgito di passatismo, ma come moderna intuizione. Quando Oskar Negt ha pronunciato il suo discorso di commiato dall'Università di Hannover - e Schröder era in seconda fila ad ascoltrarlo - l'ormai anziano filosofo ha parlato quasi solo di questo: dell'ironia che ha fatto sì che per la prima volta nella storia il capitale funzioni proprio come Marx l'aveva descritto nel «Capitale».

A sorpresa, rispunta il Moro di Treviri

Marx torna dunque a incontrare favore al di là delle fila di chi si accinge a votare per il nuovo partito. Non è un caso che il più diffuso settimanale tedesco, Der Spiegel, abbia pubblicato in copertina l'immagine di un Carlo Marx che alza la mano nel segno della vittoria, accompagnato dal titolo: «Il nuovo potere della sinistra». Nell' articolo ci si riferisce all'uso crescente da parte di intellettuali e politici - e fra questi significativamente il presidente della Spd, Müntefering - di concetti marxiani di cui forse solo oggi si rivela la aderenza alla realtà. La critica di Marx al capitalismo - ha indicato un sondaggio - viene considerata giusta da più del 50% dei tedeschi, e nel suo paese natale l'autore del Manifesto dei comunisti viene considerato - indica la stessa indagine - il più grande dei tedeschi, Lutero lasciato al terzo posto.

Merito o no del nuovo partito aver ridato liceità a un discorso socialista bandito dopo la caduta del muro (56% dei tedeschi, sebbene tanti si accingano a votare Cdu, lo trovano una buona idea, solo fino a oggi mal applicata), è un fatto che la sua entrata in scena ha già avuto il benefico effetto di spostare a sinistra la Spd. Nella sua relazione al congresso elettorale di una settimana fa Schröder ha denunciato le ingiustizie prodotte dal mercato recuperando molti temi della tradizione socialdemocratica, mentre della sua Agenda 2010 non ha quasi parlato. Sono solo parole, certo, ma indicano un inasprimento dello scontro e la consapevolezza che finalmente si fa strada: che il partito deve guardare a sinistra, non al centro.

Di un accordo con Die Linke-Pds certo Schröder non solo non ha parlato ma anche nel dibattito televisivo con la Merkel, ha tenuto a ribadirne l'impossibilità. Un parere del tutto coincidente con quello di Lafontaine, che nei suoi comizi va ripetendo che la sola differenza fra il cancelliere Schröder e la cancelliera Merkel «sta nella pettinatura». La scissione è troppo recente per non aver lasciato veleni che impediscono, almeno per ora, una qualsiasi ipotesi di collaborazione.

Più cauto, non a caso, il partner orientale della nuova coalizione elettorale, la Pds. Significativa in questo senso la lettera che Bisky, il presidente di questo partito nato sulle ceneri della Sed (la formazione che per 45 anni ha governato nella Germania dell'est), ha inviato agli iscritti in occasione dell'accordo con la Wasg di Lafontaine: Bisky insiste sulla necessità di «dare nuova prospettiva alla sinistra in Germania», di «dare un segnale che nel paese la sinistra non si divide sempre ma qualche volta si unisce» e che «qualche cosa può crescere assieme anche se ha radici diverse». Bisky allude alle forze uscite dalla Spd, ma appare chiaro un intento più generale e di lungo periodo.

La Cdu aggiusta il tiro

Non è un caso che uno dei punti più controversi della recente unificazione a sinistra sia proprio quello della collaborazione con la Spd: la Pds già governa assieme ai socialdemocratici addirittura nella capitale, e proprio questo è il motivo per cui la Wasg minaccia di non rinnovare l'accordo in occasione delle prossime elezioni in questa città-stato. Con il partito che hanno appena lasciato, la gran parte dei suoi militanti non vogliono avere a che fare.

Fino a qualche settimana fa la Cdu aveva assistito compiaciuta al successo riscosso dal nuovo venuto, la coalizione fra Wasg, il movimento per l'alternativa elettorale sorto a ovest e la Pds, partito quasi-sindacato dei cittadini dell'est: avrebbe portato via ulteriori voti alla già traballante Spd. Ora invece via via si rendono conto che Die Linke sta riportando al voto molti elettori socialdemocratici che si sarebbero altrimenti astenuti per protesta contro il loro partito. E che dunque il risultato complessivo potrebbe impedire l'autosufficienza della coalizione nero-gialla (democristiani coi liberali). Angela Merkel, insomma, potrebbe esser costretta a imbarcare la Spd nella coalizione, sia pure costringendola nella mortificante condizione di partner minoritario. Ed è sull'ipotesi della «grande coalizione» che ormai si concentra il dibattito, visto che a una rimonta della Spd - che pure ogni settimana riconquista qualche punto ma resta pur sempre indietro di circa l'8% rispetto alla Cdu - non crede più nessuno. Schröder si è ora posto un obiettivo: raggiungere almeno il 38%, e cioè aumentare di altri 4 punti in una settimana. Non sarebbe sufficiente a resuscitare il governo rosso-verde, ma abbastanza, forse, per essere il partner maggioritario della «grande coalizione». Di cui lui potrebbe essere il cancelliere.

La tentazione del governo

In merito il dibattito è soprattutto interno alla socialdemocrazia: fra gli esponenti dell'ala destra che già si candidano a diventare (o restare) ministri di un futuro governo Merkel, non solo per bieco opportunismo ma perché fedeli alla tesi dura a morire secondo cui un governo si condiziona meglio dall'interno che dall'opposizione; e chiinvece - gli esponenti della sinistra e i sindacati - pensano che un simile esito, pur considerato in Germania inevitabile perché non si ammette che il voto possa lasciare ilpaese senza una maggioranza di governo, sfascerebbe la Spd, lasciando un vuoto storico di incalcolabili conseguenze per tutta l'Europa.

Difficile comunque capire come a questo punto Spd e Cdu potrebbero accordarsi per governare assieme: i tempi del modello renano, vale a dire di una fedeltà bypartisan allo stato sociale, sono tramontati e la divaricazione fra i due grandi partiti si accresce, a dispetto delle semplificazioni polemiche. E' vero che nei fatti una «grande coalizione», sia pure forzata, negli ultimi anni c'è stata, perché, tenuto conto che la Cdu aveva ormai la maggioranza nel Bundesrat (il parlamento dove sono rappresentati direttamente i Länder) ogni legge varata la Spd l'ha dovuta contrattare con l'avversario. Me è proprio questo che l'ha portata alla attuale così ampia perdita di credibilità: perché delle sue riforme la Cdu ha fatto passare il peggio, bocciando tutte le misure migliorative.

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