Tre mesi di rivendicazioni, minacce, accordi raggiunti e sconfessati. Rabbia studentesca, blocco dei trasporti e dei negozi. Militari nelle strade, spari sulla folla. Queste le conseguenze delle elezioni del 15 maggio scorso in Etiopia, dove ancora non accenna a placarsi l'impasse politica. La Commissione elettorale etiope, l'organismo governativo deputato a gestire il voto e comunicare i risultati, ha ora dichiarato terminato il processo elettorale. Dopo le indagini su possibili brogli, lo scorso 21 agosto sono state ripetute le elezioni in alcune circoscrizioni, e si è votato anche nella Somali Region. I risultati ufficiali vedono l'Eprdf, il partito del primo ministro Meles Zenawi, al governo dal 1991, riconfermarsi alla guida del paese per altri cinque anni, con più di 300 seggi sui 547 totali. I due principali partiti di opposizione, Cud e Uedf, si fermano rispettivamente a 109 e 52 scranni. Commentando i risultati, il ministro dell'informazione, Bereket Simon, ha definito«evidente il successo del partito al governo». Soddisfatto anche Kemal Bedri, presidente della Commissione elettorale. «I risultati sono definitivi. È ora dovere di tutti i partiti accettare l'esito delle urne e delle indagini», ha detto.
Sembravano così destinate non trovare sbocco le proteste dei partiti di opposizione e di molta parte della popolazione, che dopo il voto era scesa in piazza nella capitale Addis Abeba e nelle principali città. L'altroieri invece, una conferenza stampa della Missione di osservatori elettorali dell'Unione europea, guidata dalla portoghese Ana Gomes, ha presentato un rapporto parziale sulle ultime elezioni generali etiopi, riaprendo il dibattito politico riguardo alla loro democraticità e equità. La Gomes, ricordando che la missione ha monitorato il processo elettorale su invito dello stesso governo etiope, ha tenuto a precisare che il mandato non prevedeva la ratifica dei risultati elettorali, ma solo una valutazione del livello di democraticità e trasparenza dell'intero processo. Dopo aver ricordato l'atmosfera pacifica del giorno delle votazioni, Gomes ha sostenuto che dopo il voto vi sono state invece «irregolarità e ritardi nella conta e nell'aggregazione dei dati, una pessima gestione dei ricorsi e della ripetizione delle elezioni». Il tutto «non è all'altezza degli standard internazionali e delle aspirazioni degli etiopi verso la democrazia, chiaramente dimostrate dall'affluenza alle urne del 15 maggio».
Nel documento dell'Ue si legge che «il processo di indagine post-elettorale si è svolto in un contesto di gravi violazioni dei diritti umani e della libertà, nei confronti dei leader e di presunti sostenitori dell'opposizione». Inoltre, viene ricordato come un eventuale ricorso alla Corte suprema contro le decisioni finali della Commissione elettorale, sarebbe minato nella sua credibilità dal conflitto di interessi che vede Kemal Bedri - membro del partito al governo- presiedere sia la Commissione sia la Corte. Questi problemi, ha ricordato Gomes, «sono stati aggravati dalla violazione dei diritti umani in occasione delle proteste dell'8 giugno, in cui sono stati uccisi cittadini di Addis Abeba (la polizia ha sparato sulla folla e ha fatto una quarantina di vittime ndr)».
Le reazioni non si sono fatte attendere. Se il Ministro Bereket Simon ha definito «di parte» il documento, soddisfatto si è detto il leader del Cud, Hailu Shawel. Intervistato dal manifesto, ha affermato: «Quanto dichiarato ieri dall'Ue si avvicina molto a ciò che noi diciamo: il popolo etiope, eccezion fatta per il 15 maggio, è stato privato del diritto di voto. La gente sa di non aver votato per il partito al potere. Ora un organo indipendente conferma tutto ciò. Il processo elettorale non è finito. Zenawi non può governare da solo, poiché non esistono istituzioni democratiche in Etiopia a garantire la validità delle elezioni. Noi abbiamo proposto all'Eprdf di governare insieme, con un programma a breve termine, per costruire i requisiti democratici e poi votare nuovamente. E sapere chi davvero ha la maggioranza nel paese. Ma Zenawi ha già rifiutato. Ora ci stiamo confrontando con la nostra base, poi continueremo a lottare. Sappiamo quali sono i rischi, e siamo disposti a correrli per la libertà dell'Etiopia».