VISIONI

Gli strani ritmi «on the road» Ecco i busker

CORZANI VALERIO,ITALIA

Qualche mese fa i responsabili della metropolitana di New York hanno indetto un concorso per selezionare una trentina di busker, di musicisti di strada. Ai vincitori sarebbe toccato il compito di sonorizzare con le loro performance il tran tran quotidiano dei frequentatori del celeberrimo Underground. Ora che quel tran tran è sparito, dissolto da un'ondata di violenza terroristica che accomuna tragicamente le metropoli occidentali, è probabile che di quell'iniziativa si perdano le tracce. Si finirebbe così per far pagare ai musicisti di strada anche la paranoia di questi tempi malfermi e infetti. E non sarebbe peraltro la prima volta. Le ubbie delle società hanno finito spesso per ritorcersi su questi outsider della civiltà contemporanea, i busker appunto. Ansie, pregiudizi, voglia di mantenere a tutti i costi lo status quo (anche quando non si devono fare i conti con eventi drammatici come quelli della Londra odierna) sono alla base delle incomprensioni che hanno cadenzato il rapporto tra busker e forze dell'ordine, politici, passanti, commercianti, tassisti, netturbini e chi più ne ha più ne metta.

Va detto, ad onor del vero, che se i busker ancora trovano uno spazio per esibirsi in molte parti del mondo occidentale è perché c'è un'audience che li aspetta e li apprezza, sdoganandoli con il proprio applauso da una serie di inconvenienti e sofferenze quotidiane. Si tratta in effetti di una produzione musicale che viaggia a latere di quella «istituzionale», si muove «sotterraneamente» negli spazi urbani, creando relazioni e interagendo nelle nostre vite attraverso una casualità impenitente e sfrontata. A questo tema il musicista e sociologo Federico Del Sordo ha dedicato un saggio denso e corposo nel quale un potenziale titolo - «Artisti di strada a Roma» - è diventato giustamente un sottotitolo, superato di slancio nella gerarchia delle insegne da un Sociologia della musica urbana (Meltemi) che meglio definisce l'ampio spettro d'indagine scelto dall'autore.

Quest'ultimo ha visto nella realtà della musica di strada non solo un fenomeno socio-culturale ma anche un osservatorio dell'esistere «turbato», un focus della disgregazione identitaria (e della sua ricomposizione), nonché il trampolino per allargare continuamente l'analisi alla filosofia, alla multimedialità, all'etnografia, alla scienza della comunicazione, alle altre arti. Così - nota Del Sordo - «la riflessione sulla musica eseguita per la strada, sul metrò - evento non organizzato, non previsto (almeno per intero) - si pone come laboratorio per sperimentare la genetica dei linguaggi che la metropoli de-localizzante produce». C'è da una parte il fascino dell'esibizione live. E in più ci sono la metro, i mezzi di trasporto pubblici, i luoghi di transito che «per ora sono non-luoghi ove si vive una qui-visione. Ciò che osserviamo sta proprio qui, davanti a noi. Si colloca in un interstizio, fra il tempo e il fuori-del-tempo, popolato di coniugazioni del transito e di affermazioni del familiare. Quel luogo non ha metabolizzato quel frenetico rappresentazionalismo... Nella metro, come in altri nonluoghi, i corpi rimangono corpi, il visto rimane ciò che è da vedere: tutte le probabili traduzioni e framing rimangono in disparte».

L'industria dello spettacolo alza bandiera bianca di fronte a questi Bacunin della performance che tolgono credito alle istituzioni del business e affidano il proprio lavoro a un credo totalmente nomadico. I busker su cui Del Sordo concentra il proprio lavoro, fatto di analisi e dati raccolti sul campo, sono sostanzialmente musicisti rom che si esibiscono nella metro e nelle piazze di Roma. Di questa realtà il sociologo romano evidenzia innanzitutto la varietà frastagliata di proposte e provenienze: «L'etnorama generale dei musicisti ambulanti... nasconde, in realtà, un alto grado di complessità interna»: peruviani, cileni, nordamericani, inglesi, marocchini, ecuadoregni, russi e, in Italia, soprattutto rom (a loro volta suddivisi in una folta diversificazione etnica). Successivamente Del Sordo affronta il problematico rapporto con le istituzioni e parte della popolazione: «La musica diversamente-relazionale... cade facilmente nel mirino della repressione, scontando inevitabili quarantene culturali. Si fa presto, perciò, a includerla in un quadro devianza. Non è un caso se da più anni i musicisti rom - almeno in Italia - vengano allontanati dalle banchine d'attesa, dalle carrozze della metro, dalle aree all'interno delle stazioni e considerati unicamente un elemento di disturbo».

Infine inizia a sviscerarne le caratteristiche, le aspirazioni, le prospettive. Il racconto delle loro traiettorie, delle traiettorie di quelli che Del Sordo definisce filologicamente làutari (rappresentanti cioè di un patrimonio folclorico che media la cultura rom con quella rumena e ungherese), finisce per delineare una mappa piena di segnali. «Il corpo del musicista della metro e della strada... è un'esperienza di identità che passa attraverso l'estetica... un modo nuovo di scrivere l'appartenenza». I busker raccontati nel testo usano la propria arte non solo per guadagnarsi da vivere, non solo per mostrare il proprio talento, ma anche per darsi un ruolo e un'identità nel nuovo mondo che li ha accolti. Mentre per quel che riguarda la categoria generica dei busker (che ingloba musicisti, giocolieri, maghi, equilibristi, comici) è la sociografia del corpo che entra prepotentemente in campo.

I busker diventano strumento per risalire alle origini delle relazioni umane, «che sono sempre transiti» e che trovano nel rapporto eretico, spiazzante, improvviso col quale i busker si propongono, una cartina di tornasole primigenia. La strategia di una performance messa in moto da un artista di strada scavalca tutte le barriere mediatiche (case discografiche, teatri, agenti, management, uffici stampa) e decisionali. In questo senso è anche più anarchica della tattica che può essere applicata al palcoscenico virtuale del web. Quest'ultimo chiede comunque una scelta tra tante opzioni al suo pubblico di navigatori, mentre spesso un busker trova il suo pubblico attraverso un contatto «limitrofo»: arte transitante, di individui in transito, in luoghi di transito.

Non manca un cenno alle rassegne e ai festival che da più di un decennio a questa parte hanno cominciato a proliferare nella programmazione spettacolare di città e paesi. I quali mettono a disposizione spazi, convertendo così il casuale incontro fra passanti a artisti di strada in una forma di evento organizzato. Festival come quelli di Pelago (www.comune.pelago.fi.it), Ferrara (www.ferrarabuskers.com), S. Sofia di Romagna e all'estero kermesse dedicate ai musicisti di strada come quelle di Halifax(www.buskers.ca), Singapore (www.singapore-buskers.com), Windsor(www.passthehat.com), San Diego(www.7thdaybuskers.com), Budapest (www.ananova.com), Berna(www.buskersbern.com) costituiscono secondo Del Sordo insieme un'opportunità per i busker e una mortificazione. Sono occasioni che indubbiamente rappresentano uno dei pochi momenti di incontro continuativo con l'arte di strada. Da un altro punto di vista, però, «molte di queste convention snaturano la fisionomia artistica del busker, radicandolo, anche se solo temporaneamente, a un luogo ove programmazione e archiviazione sostituiscono inesorabilmente improvvisazione ed evanescenza. L'artista di strada - prosegue Del Sordo - è un solitario o prende parte a una microcompagnia di indipendenti. I festival che iniettano musealmente la loro prassi nel paniere degli eventi calendarizzati, per certi versi, de-identificano le traiettorie dislocanti delle culture periferiche deviandole in una logica temporalmente staticizzante, anche se indubbiamente utile a restituire valore e memorie fondanti ai luoghi che li ospitano».

Qualche anno fa mi trovavo a Napoli, e viaggiavo su un tram per una volta non troppo stipato. Nella coda del tram intravidi un signore che stava simulando di suonare una chitarra e simulava pure di cantare. Allo stesso tempo però aveva piazzato ai piedi un cappellino col quale reclamava una ricompensa per il suo inesistente e paradossale concerto. Io mi avvicinai, feci scivolare le cinquecento lire sul cappello e mi presi la libertà di smascherare il musicista.

«Guardi io la monetina gliel'ho messa, ma lei non sta suonando, non si sente nulla». «È vero dottò - mi rispose quel busker salito sul tram nei pressi dei Quartieri Spagnoli - ma io lo faccio per non disturbare...».

Ecco non vorremmo che i musicisti di strada fossero tutti costretti a prendere la posa di quel busker napoletano. Togliendo l'audio ai propri concerti e mimando un esibizione che altrimenti potrebbe «disturbare». In effetti qualche avvisaglia già c'è: il centro di Roma così come quelli delle più importanti città turistiche, pullula di statue umane - sfingi, damerini, napoleoni, gladiatori, geishe - che se ne stanno lì, immobili e silenziose, a reclamare un obolo senza far rumore.

Autoghettizzate in un piedistallo che le stacca da terra e le isola dalla gente, quelle statue rappresentano l'ennesima declinazione dello spettacolo degli artisti di strada e allo stesso tempo una profezia della loro fine catartica.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it