VISIONI

Park, il sapore dolce - amaro della vendetta

INTERVISTA
FUMAROLA DONATELLO,COREA DEL SUD

Mentre nelle sale resiste ancora Old Boy, blockbuster d'autore sudcoreano (a Seoul ha incassato più di Kill Bill), la Lucky Red lo ha affiancato da qualche giorno con alcune copie (a Roma per esempio) di Mister vendetta (Simpaty for Mr. Vengeance) primo capitolo della trilogia - che si conclude con Simpaty for Lady Vengeance con cui Park Chan-wook è in concorso a Venezia (sabato 3 settembre alle ore 22 in Sala Grande) - acquistabile anche in versione dvd. Stile rigoroso, contenuti fiammeggianti, le immagini di Park hanno la potenza di Sam Fuller e la giocosità di Kitano, e appartengono, nella loro eccentricità mainstream, alla mappa spappolata di un cinema difficilmente classificabile, che comprende ormai larga parte di quanto di buono si produce mondialmente, da Cronenberg a Hou Hsiao-hsien.

La Corea del sud degli ultimi anni, poi, ci sta mostrando la ricchezza di una cinematografia complessa e articolata, che da Im Kwon-taek a Kim Ki-duk a Kim Ji-woon (presto vedremo il suo potentissimo A Bittersweet Life), attraversa le molte forme e età del cinema con invidiabile energia. Di questa energia Park Chan-wook ci mostra la furia oscura.

Partirei dal titolo ossimorico, Old Boy (Vecchio ragazzo), che racchiude in sé la possibilità di un tempo extra-cronologico che può appartenere solo al cinema.

Ci sono due motivi alla base della scelta del titolo. Il primo è che mi sono sentito obbligato verso il fumetto da cui il film è tratto. L'altro è che l'accoppiamento tra «vecchio» e «giovane» mi ha offerto la possibilità di giocare su una temporalità doppia e reciprocamente inversa, soprattutto se andiamo a guardare il rapporto con la realtà del protagonista occulto della storia che imprigiona il vero protagonista. Sono passati 15 anni, nel mondo reale il tempo è avanzato mentre nella sua mente è andato indietro, è tornato ragazzo, e si è fermato a quel momento cruciale. Attorno a questo ruota la dinamica di tutto il film.

Old Boy è il secondo capitolo di una trilogia «della vendetta». Cut (episodio di Three Extremes, film tripartito tra Fruit Chan, Park e Takashi Miike) è ancora un storia di vendetta. C'è un'ossessione tematica attorno a cui si avvolge il tuo cinema che non può non rispecchiarsi in una realtà dove la crudeltà, pur ufficialmente dissimulata, ne costituisce il principio guida.

Il nostro mondo è guidato da leggi che si basano sulla vendetta e sulla violenza. Penso che anche nella vita quotidiana i rapporti tra le persone, o i rapporti tra stati in maniera più lampante, siano regolati o siano spinti o abbiano origine da un desiderio di vendetta rispetto a alle inevitabili ingiustizie che ognuno ha subito nella propria vita, e spesso si concretizzano nella violenza, nella ritorsione, in qualcosa di molto oscuro e di profondamente potente. Ce lo testimonia la storia dell'uomo, pensa alle guerre, ai rapporti tra stato e individuo. Se vogliamo, anche la guerra in Iraq ce ne offre un chiaro esempio: in questa aggressione statunitense del paese possiamo individuare una motivazione scaturita dal desiderio di vendetta post 11 settembre, o comunque si nutre di questo più che dei reali calcoli economico-politici che sono alla base di questa guerra. Io cerco di parlare del lato oscuro che è in ognuno noi e che non ritroviamo nel cinema commerciale, perché se trattasse questi argomenti non venderebbe.

Puoi spiegare meglio la dialettica tra quello che tu chiami «lato oscuro» e la chiarezza, l'immediata leggibilità della situazione in cui prende forma?

Innanzitutto vorrei dire che i protagonisti delle vendette di cui io parlo, nel loro esercitare il proprio diritto di vendetta, non sono necessariamente circondati da un diritto di giustizia, non sono protetti da un'azione giusta perché ciò che fanno non può essere definito tale in senso assoluto. Faccio degli esempi: in Old Boy il protagonista, Lee Woo-jin, crede di essere responsabile della morte della sorella, morte che potrebbe essere stata causata anche da altri, ma lui se la prende con Oh Dae-su. O in Simpaty for Mr. Vengeance, la figlia dell'uomo verso cui il ragazzo si vendica muore perché lui non è riuscito a proteggerla. Anche in Lady Vengeance, la donna viene spinta a commettere un'azione ai danni di una persona perché influenzata da un uomo verso cui lei prova sensi di colpa; la donna avverte questa sua innocenza, sa di non essere responsabile, sa di essere il vettore della vendetta, di esserne agita, ma più agisce contro l'uomo verso cui è chiamata a compiere la sua vendetta, più arriva a odiare colui che la costringe a fare tutto questo. Tutto ruota attorno ai sensi di colpa. I miei personaggi per sfuggire ai loro sensi di colpa, non pensano alle responsabilità che ognuno di loro ha nei confronti dell'azione che è stata fatta, tendono a scaricarla sugli- e gli altri ci servono, per aiutarci a dimenticare, a scusarci in qualche modo.

In un tuo film precedente, Joint Security Area, siamo fuori dalla dinamica da te descritta fino a ora, a eccezione di un principio di responsabilità rimandato da un agente all'altro e nuovamente senza esito, e c'è una apertura, la zona tra le due Coree che diventa il vero terreno di libertà, dove può succedere di tutto o dove potrebbe non succedere nulla. Quest'incertezza produce una tensione smisurata.

C'è da spiegare il concetto di Jsa, traduzione letterale di cosa è questo territorio lungo il confine, la linea smilitarizzata, che divide i due paesi, nord e sud. Prima degli anni 70 questa Jsa era l'unica zona lungo il confine in cui non esisteva il confine, era l'unica libera, era mantenuta da tutti, apparteneva a tutti, e era anche la zona più pacifica di tutto il confine. Poi c'è stato un attacco, l'«assassinio dell'ascia». Agli inizi degli anni settanta, un soldato americano viene ucciso con un'ascia da infiltrati nordcoreani, e da area assolutamente libera e pacifica diventa anch'essa un limite, un confine, e diventa la zona più pericolosa della regione. I soldati che sono lì a fare la guardia hanno tutti uno stesso pensiero comune. Nessuno vuole attaccare per primo ma tutti temono il momento in cui l'altro attacca. Vivono in questa paura e preparano una guerra in caso di attacco dell'avversario. Quando qualcuno non riesce a sostenere questo grande peso deve uscirne e l'unico modo per uscire da questa paura è sparare per primi. È in sé un paradosso. Questo mi ha permesso di fare un film molto analitico sulla paura.

Ami Jsa o lo trovi troppo poco autoriale?Mi sembra che il tuo percorso successivo si è delineato più precisamente in questa direzione.

Jsa è un film che contiene molte storie che mi sarebbe piaciuto raccontare, per dirle al più grande numero di spettatori possibili, e parla anche di un argomento storico, per questo può risultare meno personale, ma non significa che lo ami di meno. In genere non vedo mai i miei film una volta finiti, per un senso di pudore, di distacco con le cose finite. Ma ultimamente l'ho rivisto in tv e ho provato un senso di orgoglio. Sicuramente la mia impronta si vede meno, ma un altro motivo di orgoglio per questo film è che i cinque attori oggi sono delle superstar, e averli tutti e cinque in uno stesso film ora sarebbe troppo costoso.

Quali sono i tuoi amori o i piaceri di cinema?

Luci d'inverno, Come in uno specchio, Il silenzio. Adoro Bergman. Ma Voglio la testa di Garcia di Sam Peckinpah è il mio film favorito di tutti i tempi.

Quali sono invece i cineasti coreani che ami di più?

Tra i contemporanei mi piace molto Bong Joon-ho, il regista di Memories of Murder e Barking Dogs Never Bite. Tra i cineasti del passato Kim Ji-hong, negli anni 60 ha fatto The Maid, un film magnifico.

E Kim Ki-duk come lo trovi?

Non ho visto nessuno dei suoi film. Da noi durano troppo poco in sala, avrei voluto ma non sono riuscito. Non è un regista così popolare in Corea.

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