CULTURA

Due grandi isole nella scrittura

EDITORIA
DI GIACOMO SERGIO,ITALIA/SICILIA/SARDEGNA

Nell'intreccio di elementi globali e valorizzazione delle identità locali - che trova nel Glocal una frontiera di analisi e orizzonti carichi di prospettive e interrogativi - rientra anche la «letteratura delle periferie» e quella postcoloniale, figlia di ex imperi e di legami linguistici con le madrepatrie, che si sta imponendo come un punto di forza e rinnovamento artistico. Partendo da un romanzo oggi sempre più celebrato come Il giorno del giudizio di Salvatore Satta (pubblicato postumo da Adelphi nel 1979 e ristampato nel 1990 e nel 2003, oltre da Ilisso di Nuoro nel 1999 con la prefazione di Steiner), e da un'isola come la Sardegna, che fino a qualche decennio da era considerata «semiperiferia del sistema mondo», l'italianista Stefano Brugnolo ha tratto spunto per un'analisi comparata di indubbio fascino. Nel suo recente L'idillio ansioso. Il Giorno del giudizio di Salvatore Satta e la letteratura delle periferie (Avagliano, € 13) Brugnolo, docente all'università di Sassari e da anni attento a nuovi e vecchi filoni narrativi (Stevenson, Hugo, Husymans), ci permette di carpire il valore catalizzatore dell'opera del giurista-scrittore sardo, che il grande critico George Steiner ha definito «una delle più alte opere della letteratura moderna». Un romanzo metafora sulla rappresentazione della fine di un mondo tradizionale come quello della Nuoro contadina e urbana che penetra il `900, e in cui la marginalità diventa universalità di caratteri, sguardi, immagini e simboli. Universalità testimoniata dal successo internazionale del romanzo, tradotto in diciassette lingue. Ecco comparire «uno dei capolavori della solitudine moderna» - è ancora Steiner che scrive - riportando una delle cifre del romanzo di Satta, quella malinconia decadente che accomuna tante opere tra cui gli stessi capolavori di Grazia Deledda, che nel 1926 dalla periferica isola terra di miniere e deportati riusciva a vincere il Nobel. Un premio che celebrava una scrittrice che ha sempre descritto luoghi e sentimenti figli del suo mondo, riuscendo a coinvolgere scrittori come D.H. Lawrence, che ambientò i suoi romanzi crudi e sensuali nella sua Manchester, selvatica e premoderna come la Sardegna descritta nel suo Mare e Sardegna, e la stessa Sicilia del suo amato Verga.

Un'opera preziosa, questa di Brugnolo, che si incastra con il successo crescente delle opere di Niffoi e della sua magica Abacastra de La leggenda di Redenta Tiria, altro esempio di come un centro come Nuoro possa raggiungere a distanza di decenni una centralità letteraria; e ancora, con l'analisi dei rapporti tra Satta e l'umanista messinese Salvatore Pugliatti (compagno di scuola e confidente di Quasimodo e La Pira nella Messina ruggente degli anni Venti, nonché caposcuola della grande fucina giuridica dell'Ateneo peloritano), che Luigi Ferlazzo Natoli esamina nel suo recentissimo I Miei miti, uscito da Pellegrino editore di Cosenza.

In quest'asse tra le due isole, Brugnolo pone in confronto al capolavoro di Satta un altro «controcanto» alla modernità come Il Gattopardo. In entrambi i romanzi incombe il destino della trasformazione inevitabile, di piccoli mondi antichi che devono plasmarsi alle innovazioni, del cambiamento che si spella al sole nuovo perché ha perso la melatonina giusta. Due isole, due modi di «stare al mondo» che si confrontano in modo parallelo e vivace, entrambi avvinti da un passato mitico. Stratificato e disilluso, quello greco-normanno-arabo siciliano, già regno dello Stupor Mundi Federico II e terreno di un Risorgimento fiero ma fragile; ampiamente orgoglioso quello della Sardegna figlia della misteriosa Ichnusa nuragica e culla di una grandiosa vestale come la regina medievale Eleonora d'Erborea.

Ci sono fili di congiunzione e sguardi agnostici e disincantati per entrambi gli scrittori, anche se, davanti all'arrivo dei piemontesi, Satta parla di «degrado antropologico» e lo scrittore palermitano cerca invece di veder un'occasione di risveglio nella pur immutabile realtà locale. La storia allora diventa «nuova storia» o «non storia», dolente lotta alla Scilla e Cariddi della memoria, e della redenzione che si ingorgano sullo Stretto epifanico di vita, come nell'Horcynus Horca, altro capolavoro isolano che sa di mare, e che non a caso Steiner pone accanto al Giorno del giudizio come emblema massimo della narrativa novecentesca italiana e europea. Altro caso di «idillio ansioso» che ci restituisce una provincialità universale da dove partire per capire le radici profonde che parlano all'oggi. Luoghi apparentemente marginali ma elettivi che, come ricorda l'altro grande sardo del `900 Giuseppe Dessì, possono essere una propria «piccola patria», dove sentirsi, anche se solo brevemente e con la nostalgia addosso, «più forte, più intelligente, anzi onnisciente».

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