FRONTE OCCIDENTALE

Il Viminale conferma: «Rischio attentati»

LANIA CARLO,ROMA

Resta alto l'allarme per il rischio che un commando terrorista possa colpire in Italia. Ne è sicuro il prefetto Carlo De Stefano che ieri ha ricordato come l'arresto avvenuto venerdì a Roma dell'etiope Hamdi Issac, coinvolto nei falliti attentati di 21 luglio scorso a Londra, non deve comportare un abbassamento dei livelli di guardia. «Esiste la possibilità, purtroppo, di un attentato terroristico», ha spiegato il capo della direzione centrale della polizia di prevenzione. Intanto il gip del tribunale di Roma, Zaira Secchi, ha confermato l'arresto dell'uomo, a cui è stato contestato il reato di associazione ai fini di terrorismo internazionale. E in carcere resta anche suo fratello Ramzi, che deve invece rispondere di possesso di documenti falsi. Nel corso dell'interrogatorio, Hamdi ha cercato ancora una volta di sminuire il ruolo avuto nei falliti attentati alla metropolitana londinese, ripetendo che si sarebbe trattato di un gesto dimostrativo e che il gruppo non aveva intenzione di uccidere. Una versione che lascia scettici i magistrati italiani e che è stata seccamente smentita da Londra: «Ciò non ha assolutamente senso», ha fatto sapere un funzionario di Scotland Yard, per il quale gli ordigni nascosti negli zainetti portati in spalla dai terroristi «erano riempiti di chiodi affilati come rasoi e di bulloni e non hanno fatto vittime solo per un errore banale dell'artificiere». Allarme attentati. Il rischio di finire nel mirino dei terroristi resta alto, come aveva già denunciato nei giorni scorsi il ministro degli Interni Pisanu. E il prefetto De Stefano ieri non ha fatto altro che ripetere l'allarme. «Esiste la possibilità di un attentato - ha detto - anche se i controlli delle forze dell'ordine devono indurci a considerare il fenomeno con la dovuta consapevolezza e con la certezza che è stato fatto tutto quanto sia possibile per scongiurare questi atti».

Le misure di sicurezza messe a punto dal Viminale puntano principalmente su tre punti, come ha ricordato di recente lo stesso Pisanu: «la difesa degli obiettivi più esposti, il controllo degli ambienti dove può innescarsi la minaccia terroristica, il monitoraggio stretto dei cittadini extracomunitari già interessati da inchieste giudiziarie». Per raggiungere questi obiettivi, il governo già da tempo ha messo in campo 23mila uomini addetti alla difesa dei circa 13mila possibili obiettivi considerati strategici, ai quali vanno aggiunti gli agenti utilizzati normalmente nelle operazioni di controllo del territorio. Intensificati inoltre anche i controlli su stazioni, metropolitana, porti e aeroporti.

Le indagini Tre giorni dopo il suo arresto, il Viminale pensa di poter escludere che il mancato attentatore di Sherpherd's Bush e i suoi complici possano essere stati aiutati nel loro progetto omicida da alcuna cellula terroristica. Quello che ha agito il 21 luglio scorso a Londra, ha spiegato De Stefano, sembra essere più un «un gruppo estemporaneo che un'organizzazione strutturata». Salta anche il timore che una rete di complicità abbia aiutato Hamdi Issac nella sua fuga in Italia. Se una rete si è attivata, questa sarebbe stata esclusivamente familiare e le persone che si sono mosse per aiutare il terrorista, come i due fratelli di Hamdi che sono stati arrestati, non risultano coinvolti «in altre indagini condotte in Italia sul fronte del terrorismo di matrice integralista islamica, né con organizzazioni terroristiche attive in territorio nazionale».

La pista saudita. Questo naturalmente non significa che i controlli sul mancato terrorista e le persone che lo circondano siano finiti. Anzi. Il racconto che anche ieri l'uomo ha ripetuto continua a non convincere i magistrati che si riservano di effettuare ulteriori controlli. Il fatto che gli esplosivi impiegati avrebbero potuto provocare una strage, come confermato anche ieri da Scotland Yard, fa pensare che Hamdi possa essere stato utilizzato come kamikaze inconsapevole.

Ma a preoccupare gli investigatori c'è anche l'esistenza di un possibile collegamento tra il gruppo di terroristi a cui Hamdi apparteneva e l'Arabia Saudita. Lo stesso De Stefano ieri ha confermato che tra il 26 e i 27 luglio scorsi, mentre fuggiva verso l'Italia, Hamdi ha fatto con il suo cellulare una telefonata in Arabia saudita. La notizia è stata riferita al nostro antiterrorismo dalla polizia inglese, che adesso sta cercando di capire chi fosse il «contatto» saudita. Hamdi non sarebbe però stato l'unico del gruppo ad avere rapporti con l'Arabia saudita. Anche Muktar Said Ibrahim, l'uomo indicato da Hamdi come capo del gruppo, avrebbe soggiornato per due o tre mesi nel regno saudita dove, stando a quanto dicono gli amici avrebbe frequentato un corso di addestramento.

L'estradizione. In settimana si terrà l'udienza con cui la corte d'Appello dovrà decidere se estradare Hamdi Issac in Gran Bretagna oppure no. C'è il rischio, però, che l'uomo possa essere scarcerato se Londra non invierà in tempo i documenti necessari. Fino a oggi, infatti, ai giudici sono arrivati solo gli estremi del mandato di cattura europeo, ma non la documentazione relativa a tutte le accuse contestate al terroristi etiope e che vanno dall'associazione a scopo terroristico, alla tentata strage alla detenzione di materiale esplosivo. La legge prevede che questa debba essere consegnata entro dieci giorni dal fermo e il tempo scade domenica prossima. Se entro quella data Londra non avrà provveduto, c'è il forte rischio che Hamdi possa tornare libero.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it