Da buon etiopico, figurarsi se può parlar male con uno straniero di qualcosa che riguarda il suo paese: fatica vana quindi quella di chiedere che opinione si è fatto uno come lui che ha vissuto da protagonista gli anni ruggenti della musica etiopica moderna, fra i 60 e i 70, sullo stato della musica odierna del suo paese. Mahmoud Ahmed la prende alla larga: «una volta c'erano le grandi orchestre, con molti fiati, via via siamo arrivati agli organici di oggi, più piccoli, come il mio complesso: due sax, tastiere, chitarra, basso e batteria. Poi adesso c'è l'elettronica...». Non dirà certo la non piacevole verità: che la musica etiopica moderna non si è ancora ripresa dal colpo ricevuto con quasi due decenni di dittatura di Menghistu e di coprifuoco, e che ancora non si vede all'orizzonte una nuova generazione di talenti in grado di detronizzare i grandi vecchi come Mahmoud. In Italia è venuto spesso, ma ci sono voluti poco meno di vent'anni dall'uscita in Europa ('86) di Ere Mela Mela, suo Lp shock e di culto, perché dopo tante esibizioni esclusivamente a beneficio delle comunità immigrate dal Corno d'Africa (prezzi alti e nessuna pubblicità all'esterno), Mahmoud Ahmed avesse finalmente l'occasione dei suoi primi concerti «per tutti» nella penisola: tre show gratuiti, in due centri della provincia di Reggio Emilia e uno finale nel capoluogo, nella centrale piazza Prampolini. Due ore di spettacolo, una sciarpa con i colori dell'Etiopia, giallo, rosso e verde, prima portata sopra il vestito bianco e poi stretta intorno alla fronte, e una musica ancora oggi tanto insolita, all'incrocio fra Africa nera, mondo arabo e oriente, rispetto a quelle a cui il continente ci ha abituato, quanto calda e comunicativa, come il canto di Mahmoud. Che se è reticente nei giudizi sui suoi più giovani colleghi, non si fa pregare invece per parlare dei tempi eroici.
Lei è nato ad Addis Abeba nel quartiere di Merkato...
Sì, nel 1941, ma quando avevo tre anni la mia famiglia si è spostata nel quartiere di Gulele: lì c'era anche una scuola, e lì ho abitato per quarant'anni. Mi ricordo che con i ragazzi del quartiere ci ritrovavamo e cantavamo battendo a ritmo dei bastoni per terra. E cantavo anche a scuola. Intanto c'erano diverse associazioni sportive e facevo basket, ping pong, tennis. Invece non ho mai suonato strumenti: adesso suono il pianoforte, ma solo per comporre.
Che cos'era per lei la musica ?
Quando avevo quattordici anni per aiutare la famiglia facevo il lustrascarpe e l'ho fatto per cinque anni. C'era un bar con una grossa radio: io mi sedevo con la mia cassetta da lustrascarpe e ascoltavo la musica... C'erano due radio: quella governativa e Tèqali Radio, l'emittente che trasmetteva i brani del complesso della Guardia del Corpo Imperiale.
All'epoca in Etiopia si faceva musica moderna solo nelle formazioni musicali dei corpi delle forze armate: come ci entrò?
Quando avevo quasi vent'anni a Gulele venne aperto un night club, l'Arizona. Mia madre chiese se mi potevano prendere a lavorare. Cominciai a darmi da fare per il rinnovamento e l'allestimento del locale, come carpentiere e imbianchino. Quando alla fine fu tutto pronto, passai a lavorare in cucina, come apprendista-cuoco. Feci il cuoco per sette mesi. Nel locale venivano ed esibirsi cantanti dell'Imperial Body Guard o dell'esercito, delle star, come Tlahoun Gèssèssè, Essatu Tessemma: e io ascoltavo dalla cucina. Poi un giorno i cantanti furono ingaggiati altrove, e nessuno cantava più. Così ad un certo momento chiesi ai musicisti del locale - uno suonava la fisarmonica, l'altro il sax e il clarinetto, e c'era il baterista - se potevo cantare una canzone. Salii sul palco e cantai due brani che all'epoca erano molto popolari. Il pubblico fu entusiasta e finì che dovetti ricantare le due canzoni forse sei volte. Arrivò il padrone e mi sentì. Alla fine mi chiamò e mi disse che dalla sera dopo sarei stato sul palco, mi comperò un abito, le scarpe e una cravatta. Quando poi i cantanti dell'Imperial Body Guard tornarono nel locale videro che ero io che cantavo. Allora mi invitarono a unirmi all'Imperial Body Guard, mi diedero i testi delle canzoni perché imparassi il repertorio e mi fecero un esame: lo passai e entrai nella formazione. Era il 1962.
Qual'era la musica straniera che la interessava di più?
Little Richard, Nat King Cole, Pat Boone, Sam Cook, James Brown, canzoni come Jailhouse Rock, Rock around the clock. In scena, imitavo il modo di muovere le gambe di Elvis Presley.
Poi col colpo di stato del `74 l'avventura della Imperial Body Guard finisce e lei continua come privato...
C'era il coprifuoco ma si suonava nei locali e nei grandi alberghi, che prima di mezzanotte chiudevano le porte, e nessuno usciva più fino a quando non le riaprivano alle cinque e mezzo del mattino. Siamo andati avanti così per quasi vent'anni. Io sono diventato popolare soprattutto a partire dall'81. Lavoravo con la Ibex band, che poi si sarebbe chiamata Roha Band, con cui sono andato in Europa e negli Stati Uniti. Nell'85 poi venne in Etiopia Francis Falceto (produttore, ndr), e mi chiese di dargli qualcosa da pubblicare in Europa, per un lp, e lì è cominciato l'interesse che arriva fino ad oggi...