FRONTE OCCIDENTALE

Il quarto uomo arrestato a Roma

LANIA CARLO,ROMA

Mancava solo lui. L'uomo con la maglietta blu, barba e cappelletto da baseball in testa ripreso dalle telecamere della metropolitana mentre si dirige con il suo carico di morte verso la stazione di Sherpherd's Bush, a Londra. E poi, in un'immagine successiva, in canottiera bianca, ormai già in fuga sull'autobus 220. Mancava solo lui, Osman Hussain, etiope, uno dei quattro supericercati per i falliti attentati del 21 luglio scorso a Londra. Mentre nella capitale britannica la polizia arrestava i suoi complici, Mohammed e Muktar Said Ibrahim, quest'ultimo di origine eritrea naturalizzato britannico, lui, Hussain, era da poco arrivato a Roma dove vive il fratello, titolare di un Internet point in via Volturno, vicino la stazione Termini. Ed è proprio a casa del fratello che gli agenti dei Nocs e della Digos lo sorprendono ieri pomeriggio verso le 18. Hussain è solo e non fa alcuna resistenza. E' il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu a dare la notizia dell'arresto, mentre nella capitale vengono perquisite decine di abitazioni: «L'operazione antiterrorismo, ancora in corso - spiega soddisfatto il titolare del Viminale - viene condotta in un articolato contesto di collaborazione internazionale». Hussain viene portato in Questura e subito interrogato dai pubblici ministeri del pool antiterrorismo Franco Ionta e Pietro Saviotti, titolari anche dell'indagine sulla morte di Benedetta Ciaccia, rimasta uccisa nell'attentato del 7 luglio alla metro di Londra. E con i magistrati Hussain ha ammesso di aver partecipato agli attentati del 21 luglio, ma ha cercato di attenuare la proprie responsabilità spiegando che gli ordigni non potevano uccidere ma erano stati predisposti solo per creare terrore.

Tradito dal cellulare. Da due giorni l'uomo viene tenuto sotto controllo dalla nostra polizia. Da quando, mercoledì, fugge da Londra subito dopo l'arresto del primo componente del commando terrorista, Yassin Hassan Omar, anche lui somalo. La polizia londinese ha trasmesso ai colleghi italiani il numero di un cellulare inglese intestato al cognato di Hussain, ma utilizzato dal ricercato. Ed è proprio la pista telematica a tradire Hussain. Secondo la stampa britannica l'uomo sarebbe fuggito verso il Belgio a bordo di un autobus internazionale. Hussain, invece, sale su un treno e dalla Gran Bretagna arriva a Parigi (del tutto indisturbato nonostante la Francia abbia sospeso il trattato di Shengen) prima di puntare verso l'Italia. Gli investigatori che lo seguono attraverso i segnali lasciati dal telefono non sono certi se si tratta di lui o del cognato, ma gli inglesi insistono: «E' Hussain, e sta venendo in Italia dove ha dei parenti».

All'alba di giovedì le tracce del cellulare lo segnalano in Lombardia. Agenti delle Digos di tre città, Roma, Brescia e Milano, cercano di entrare in contatto con lui per pedinarlo o per prenderlo subito, mettendo così fine all'inseguimento, ma la traccia del telefonino salta e Hussain per qualche ora sparisce. Quando riattiva il cellulare è ormai sera e Hussain si trova in Emilia Romagna. Più di dodici ore per percorrere poco più di duecento chilometri sono troppe. Cosa ha fatto in tutto questo tempo? E' sceso dal treno e, se lo ha fatto, ha visto qualcuno? Fatto sta che gli uomini della Digos agganciano Hussain ieri mattina, quando ormai è a Roma, e da quel momento non si staccano più da lui.

Hussain si muove per la capitale, raggiunge casa del fratello in via Ettore Rota a Tor Pignattara, un quartiere della periferia romana dove resta nascosto fino a quando i Nocs non fanno irruzione nell'appartamento e lo arrestano.

Perché a Roma? Di certo non l'unica, ma una delle domande più importanti alle quali da ieri gli inquirenti stanno cercando una risposta sicuramente è: perché Hussain è venuto proprio in Italia? Nella capitale il ricercato ha il fratello e forse contava su di lui per un rifugio sicuro. Ma se il motivo del viaggio fosse un altro? Se nella capitale ci fosse una «cellula» del terrore pronta ad agire e lui fosse stato inviato nel nostro paese proprio per questo? Domande che certamente i pm Ionta e Saviotti - che ieri hanno ordinato anche il sequestro di un'auto, una Volkwagen - hanno rivolto a Hussain nel corso di un interrogatorio durante il quale l'uomo avrebbe cominciato a parlare. Così come certamente in queste ore polizia e servizi stanno rileggendo le minacce fatte all'Italia dopo gli attentati londinesi del 21 luglio. «Colpiremo al cuore delle capitali europee, a Roma, Amsterdam e in Danimarca i cui soldati sono ancora in Iraq a seguire i loro padroni britannici e americani», avevano scritto le Brigate Abu Hafs al Masri. Una rivendicazione inizialmente giudicata inattendibile dagli inquirenti, ma che dopo l'arresto di ieri merita di essere riletta con maggiore attenzione.



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