Juan Luis Guerra è ormai un ragazzo di quasi cinquant'anni, nato a Santo Domingo e oggi in perenne tour per il mondo, a presentare la sua musica raffinata. Lo abbiamo incontrato a Milano, ospite del festival Latinoamericando.
La Berkley School of Music di Boston, dopo gli studi a Santo Domingo, è stata uno snodo decisivo della sua carriera...
All'inizio sentivo musica dominicana, i Beatles, e tutta la musica che si ascoltava allora, principalmente rock, e mi ero appunto indirizzato un po' più verso il rock. Poi nel `78 decido di andare a Boston, dove comincio ad ascoltare il jazz dei grandi maestri, Charles Mingus, Charlie Parker, Wes Montgomery, Duke Ellington, Count Basie, ed è allora che nella mia musica si verifica una mezcla, una fusione fra il patrimonio dominicano e altri tipi di musica.
E il folk revival americano, Bob Dylan, Joan Baez?
Sono stato influenzato da Dylan che ora sto approfondendo. Conoscevo i suoi grandi successi, Blowin in the Wind, Like a Rolling Stone, ma adesso faccio attenzione ai suoi versi: è un poeta urbano straordinario.
Ha nominato i Beatles. I Beatles presero le mosse da una cultura musicale data, blues, rock'n'roll, canzone anglosassone, ecc., e riuscirono a creare qualcosa di originale. Lei ha fatto lo stesso a partire dalla musica latina: si riconosce in un atteggiamento beatlesiano?
La mia formazione, prima ancora di cominciare a studiare musica, prima di qualunque altra cosa, è stata le canzoni dei Beatles: il modo di usare la voce, gli assoli, tutto. È da lì che ho cominciato a costruire: i Beatles sono stati le fondamenta. Poi ho ascoltato musica di ogni tipo: Crosby e Still, Jethro Tull, poi il jazz. Mi piace la musica sudafricana, la musica classica. Ascolto di tutto ancora adesso: ho appena comprato un disco di Pino Daniele. A Santo Domingo conosciamo anche Dalla, Baglioni.
Le grandi cose nuove della musica latina tra anni ottanta e novanta si possono forse riassumere in: Kassav, NG La Banda, Carlinhos Brown, Juan Luis Guerra. Cosa pensa degli altri tre?
NG la Banda? Meravigliosi. Kassav? Molto buoni. Carlinhos Brown non lo conosco bene, dovrei ascoltarlo meglio. Dimentichi Ruben Blades, che però in effetti ha cominciato a venire fuori un po' prima, nei settanta. È stato Ruben ad aprire la porta, a permettere a tutti noi di cominciare a lavorare. Il suo modo di comporre: quando ho ascoltato Pedro Navaja mi sono reso conto che si poteva lavorare sulla salsa in una maniera diversa. La visione che Ruben possedeva erano molto pochi ad averla. Quello che lui ha fatto con la salsa io l'ho fatto col merengue.
Cos'è per lei la musica africana?
Da noi c'è stata una fusione di armonia spagnola e ritmo africano. A un certo punto ho cominciato ad ascoltare Youssou N'Dour, Salif Keita, Mory Kante. È da questo interesse che è nata la collaborazione con Diblo Dibala, congolese, grande chitarrista di soukous.
Mi PC è probabilmente la più bella canzone mai scritta che parla del computer, e una delle più belle canzoni d'amore da molto tempo a questa parte. Come lavora sui suoi testi? e cosa pensa del livello delle parole nella musica latina?
C'è un deficit che trovo criticabile. Non è che faccia più attenzione ai testi che alla musica e agli arrangiamenti: è che ci sono delle cose molto buone oggi, ma quando fai caso alle parole senti che c'è un dislivello. E invece bisogna metterci dell'impegno, come lo si mette per un arrangiamento. Mi piacciono i nuovi generi ma trovo che bisognerebbe occuparsi di più dei testi. Io mi sento più musicista che autore di testi: molti scrivono prima le parole e poi fanno la musica, io faccio il contrario. Ma do ai testi tutta l'attenzione e il tempo che meritano: aspetto che vengano fuori le metafore giuste, e attraverso di esse mi sforzo sempre di dire qualcosa di concreto.
Le sue canzoni hanno toccato tematiche sociali. Ce ne sono che le stanno particolarmente a cuore oggi?
Sono un compositore che va a tappe. Ci sono cose che ho già fatto e su cui non mi interessa particolarmente insistere, anche se la canzone sociale credo che continuerà ad avere un posto nella mia carriera, perché riflette quello che vediamo normalmente in paesi come i nostri dei Caraibi. È l'attualità che mi stimola a scrivere. Posso toccare qualunque tema. Ma il mio atteggiamento è quello di una «critica positiva». Per esempio una canzone come El Niagara en bicicleta è una critica umoristica di quella che è la realtà della sanità nel mio paese: sono le peripezie di una persona che va in un ospedale pubblico.
L'ultimo disco...
Para ti, che parla della mia fede cristiana, anche col linguaggio del merengue. Mi sono convertito al cristianesimo dieci anni fa: avevo dei seri problemi di ansia. Poi mi parlarono di Gesù e ho trovato la pace di cui sentivo il bisogno. È cristianesimo evangelico, ma per me non c'è differenza. Dopo ho fatto Ni es lo mismo ni es igual, l'album con Niagara en bicicleta. Questo ultimo album l'ho dedicato a Lui, e come dico sempre, in questo disco non parlo io, parla il Signore. C'è chi si è sorpreso che un disco cristiano sia stato 14 settimane al primo posto nella classifica di Bilboard: ma sono le cose del Signore. Sto lavorando ad un nuovo album, che sarà forse il più romantico della mia carriera.
Compone con la chitarra?
Sì. Le canzoni che hanno avuto successo come merengue non necessariamente le ho composte come merengue, perché non è tanto facile suonarlo sulla chitarra: a volte le compongo come ballate, poi ci metto le percussioni e viene fuori il merengue.
Che importanza hanno elettronica, nuove tecnologie, campionamenti per la sua musica?
Nessuna. Mi piacciono alcune cose dell'elettronica e utilizzo sonorità elettroniche nelle canzoni, però non la vedo come un idolo, mi interessano di più altre cose, mi piace l'essenza, il blues, il jazz, il classico.
Il suo stile di vita quotidiana?
Relax!