34 film in competizione e altri 92 nelle rassegne parallele; 17 paesi rappresentati (dalla Cina al Brasile alla Russia alla Bosnia...); una selezione operata su 1520 pellicole provenienti da 97 paesi: anche quest'anno, alla sua sedicesima edizione, il Festival internazionale del documentario di Marsiglia, che si è chiuso mercoledì con l'assegnazione del primo premio a Estamira del brasiliano Marcos Prado, non ha deluso le aspettative, presentando alcuni film straordinari: Per uno solo dei miei occhi dell'israeliano Avi Mograbi; Made in China del belga Julien Selleron (un making off del film The World che Jia Zhang-ke gira a Pechino fra censure e nuove aperture, avendo come mito Antonioni, scoperto grazie a una cassetta pirata); 16 ore a Baghdad di Tariq Hashim che torna, dopo 23 anni di esilio, nella sua devastata città; Fare politica, la storia della sezione Pci di Mercatale che via via diviene Pds poi Ds poi quasi niente, girata lungo vent'anni dal belga Huges Lepaige (grandissimi applausi della sala, per il regista ma anche, credo, per il Pci). E poi alcuni pezzi rari: un fantastico film di Guy Debord, mai prima proiettato; tre discorsi di Jaques Derida, fra cui Lettera aperta alla Palestina, filmati da Safaa Fathy; frammenti di un dialogo con Jean Luc Godard; Lacan all'università di Lovanio nel 1972, filmato da Françoise Wolff. E infine finestre sul documentario tedesco e sull'«Apertura», i filmati brasiliani iniziati nel `64, interrotti dalla dittatura, recuperati e finiti alla sua caduta. Proprio un bel festival, diretto da Jean Paul Rehm e dalla nuova direttrice generale, Federique Westhof (che in passato aveva lavorato con Italiacinema contribuendo a promuovere Cineuropa, il quotidiano quadrlingue on line).
Viene da piangere a pensare che in Italia queste pellicole non le vedrà quasi nessuno, tenuto conto dello «status» che il documentario ha nel nostro paese. Più fortunati altrove: la direttrice di Sunny Side, il mercato specializzato che si tiene alla vigilia del festival, è ottimista e soddisfatta di come sono andate quest'anno le cose. «In questi ultimi anni - dice il presidente del festival Michèl Tregan - è aumentata la produzione di documentari, specie nel sud est asiatico e in America latina; e la moltiplicazione dei canali ha accresciuto gli sbocchi. Ma ora, almeno in Francia, si comincia ad andare anche in sala: tutte le domeniche al Cinéma de Cineastes (gestito dall'Arp, l'Api francese), ma anche altrove: Les glaneuses di Agnes Varda, Ad ovest dei binari di Jia Zhang-Ke, Le mur di Simon Bitton hanno avuto un ottimo successo di pubblico». «Un festival del documentario - dice Tregan - è una trincea di combattimento. Ora cerchiamo di avanzare, di aumentare la visibilità di questi filmati anche altrove, attraverso accordi con altri festival che, avvalendosi della nostra selezione, intendono aprire finestre nelle loro rassegne. Con l'Italia c'è un ambizioso progetto che si sta realizzando col festival di Alba e l'aiuto del piano Media: creeremo insieme un sito che si propone di diffondere documentari nei 25 paesi dell'Unione». Michèl Tregan, dopo dieci anni di presidenza durante i quali Marsiglia è diventata la capitale del documentario - lascia. Era arrivato in questa città nel 1972 come ispettore dell'Inps francese e si era inventato nientemeno che una programmazione via cavo per la formazione dei suoi funzionari. «Così entrai in contatto con il mondo dell'audiovisivo, che poi mi ha reclutato», dice. Oggi Michèl ha reclutato la sua successora, Aurelie Filippetti, anni 34, consigliera verde al comune di Parigi ma soprattutto scrittrice (il suo Gli ultimi giorni della classe operaia è stato tradotto in Italia da Tropea). Del documentario Aurelie dice: «Talvolta, quando il mondo sociale ci chiama, c'è una certa indecenza a rifugiarsi nel racconto dell'immaginario».