MONDO

«Ha le mani sporche di sangue, Zenawi ha già perso»

ETIOPIA
MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

«La notte precedente il massacro di Tekle Haymanut, un amico mi ha telefonato dalla zona del Kabele 10, tra Old airport e Kera, qui ad Addis Abeba. Mi faceva sentire le urla, il pianto delle donne, gli spari. Era in atto un rastrellamento delle forze speciali. Ancora la mattina dopo, passando di lì, si vedevano più soldati che abitanti del quartiere», racconta Hailu Shewal, il leader del principale partito d'opposizione etiopica, il Kinjit, il giorno dopo che gli sono stati revocati gli arresti domiciliari. Misura cautelare imposta a lui e sua moglie per alcuni giorni. «Il governo ha cercato di immobilizzare la popolazione. Una scelta deliberata, il ritorno ad un regime di terrore. Ma non ha avuto successo. La gente ora è solo più determinata. Cosa pensa Meles Zenawi, il Primo Ministro? Anche se continuerà ad uccidere, non riuscirà a mantenere il potere». Muove piano le mani, il leader di Kinjit. Accompagna i suoi pensieri con brevi gesti. «Il discorso televisivo di Zenawi, a commento dei massacri, mi ha ripugnato. Ha fatto capire che uomo è. Dopo 14 anni al potere in questo Paese, ha ancora una volta dimostrato di odiare il popolo che governa. Zenawi ha detto che gli incidenti sono scoppiati a causa delle manifestazioni, degli assalti alle banche. Ma chi era in città in quei giorni sa bene che non è andata così», insiste Shewal.

«La perdita di vite umane non sembra avere alcun significato per questo regime. Sappiamo tutti che la polizia etiope, da diversi anni, possiede un equipaggiamento antisommossa adeguato. Eventuali manifestazioni vietate si possono disperdere. Ma il primo ministro ha scelto di agire diversamente. Per reprimere ha utilizzato i reparti speciali, addestrati ad uccidere. Li ha fatti rientrare dal Tigray nella capitale, e nelle principali città. Ma voglio che sia chiaro un concetto: si tratta di individui, il problema in questo Paese non è etnico. I tigrè convivono tranquillamente con le altre etnie etiopi». È sorridente, Shewal, che finalmente è potuto rientrare nel proprio ufficio, dalle parti di Bole Tele. Sulla sua vicenda personale riesce a mantenere un tono ironico. «Fortunatamente, sono ancora tutto intero. Diciamo che è stata un'occasione per riposarmi», sostiene il leader di Kinjit, che ha accettato di discutere della crisi etiope con il manifesto. Scherza sulla sua vicissitudine, chiede informazioni sulle difficoltà in cui sono incappati molti giornalisti nei giorni della repressione. Resta sereno, ma si fa serio, quando il discorso cade sulla situazione generale del Paese.

Infatti, la misura cautelare nei confronti di Shewal è scattata negli stessi giorni in cui il governo reprimeva nel sangue l'accenno di protesta della popolazione etiope per i possibili brogli avvenuti durante le elezioni generali del 15 maggio scorso. Almeno una quarantina di vittime, molte delle quali finite, senza pietà, con colpi alla testa. Centinaia i feriti, 3.600 le persone arrestate. Una repressione violenta, eseguita su ordine del primo ministro che, la sera stessa della chiusura delle urne, aveva imposto il divieto a manifestare in tutta la capitale, acquisendo tutti i poteri di sicurezza e di ordine pubblico. Divieto in scadenza, ma già prorogato di un altro mese. «Il ministro dell'informazione, Bereket Simon, ha detto di me che sarei una minaccia per la stabilità dello Stato. Ciò, detto da un autorevole esponente del governo che si è reso responsabile di arresti di massa ed uccisioni indiscriminate ad Addis Abeba ed in molte altre città del Paese, è soltanto risibile». Suona un telefono nella stanza, ma Shewal stacca il ricevitore. Vuole chiarire la posizione del suo partito in questo momento.

«Abbiamo dimostrato che la nostra base sa mantenere la calma anche in queste ore drammatiche. Ed abbiamo dimostrato a tutti, soprattutto alla comunità internazionale, che da parte nostra c'è il forte desiderio di andare avanti con il processo democratico di revisione del voto. Perché ciò accada, bisogna ripristinare una situazione di stabilità nel Paese. Noi abbiamo fatto la nostra parte. Ora sta al partito al potere fare altrettanto. Deve rilasciare tutti gli arrestati, su cui peraltro non pende nessuna accusa, e rispettare totalmente i diritti umani. Le armi devono sparire dalle strade». Da lunedì Addis Abeba è tornata apparentemente calma. Governo e partiti di opposizione si sono accordati per procedere alla verifica dei voti nelle molte circoscrizioni contestate. Resta ora da decidere chi, e come, dovrà effettuare questa verifica: il primo di tanti ostacoli che potrebbero riaccendere la tensione. Per Shewal, questo governo ha i giorni contati. «Troppi morti. Meles dovrebbe ammettere di avere perso. Infatti non può governare più a lungo. Gli etiopi non lo vogliono più, e sono pronti a dimostrarlo».

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