MONDO

Calma di terrore dopo la strage

ADDIS ABEBA
MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

L'ombra di un uomo appare in mezzo al nulla in una traversa della Bole, la grande via che da Meskal Square va versol'aereoporto di Addis Abeba. Salomon fa il guardiano in una villa abitata da stranieri. Ha in mano una vecchia radio, muovel'antenna tesa verso l'alto, a cercare una ricezione migliore. Aspetta le ultime notizie, dall'unica stazione radio etiope, FM, sotto controllo del governo così come l'unico canale televisivo. Ma le notizie che Salomon, come tutti gli altri, riceve dal ministero dell'informazione per capire cosa succede nel paese sono poche, pesso incomplete o addirittura false. In tutta la città, decine e decine di camion militari trasportano i beretti rossi, i reparti d'assalto fedeli al premier Meles Zenawi, in giro per la città. Un pattugliamento capillare, strada per strada. Ogni tanto un camion militare ne incrocia uno della polizia federale. Ogni veicolo decine e decine di agenti in tenuta antisommossa. I mitra puntati sulla strada. A ogni angolo, soprattutto nelle zone degli incidenti dei giorni scorsi, pick-up e jeep militari di traverso sulla strada. Agenti pesantemente armati in mezzo alla carreggiata. Posti di blocco. Nella zona dei grandi alberghi - Hilton, Sheraton e Ghion - la via sale verso il palazzo del primo ministro. Salendo ancora verso il monte `Ntoto, si va verso il campus universitario, teatro degli scontri di lunedì.

All'altezza di Amist Kilo, davanti ad un noto ristorante italiano, due carri armati chiudono il lato destro della carreggiata. Seduti sui veicoli blindati, una ventina di soldati. La solita calma irreale delle ultime notti in città, e assieme la sensazione che qualcosa si stia preparando. Sui marciapiedi pochissima gente. I bambini di strada sono quasi spariti, laddove di solito fermano le macchine di chi fa tardi, sperando in qualche birr. Solo, ogni tanto, qualche giovane prostituta sfida i poliziotti, aspettando un cliente, e i soldi per mangiare. «Stasera è meglio tornare a casa prima, niente affari, la polizia federale mi ha cacciato via», dice Genet, diciassette anni.

Il giorno dopo le sanguinose uccisioni nella zona di Merkato, Addis Abeba ha visto proseguire lo sciopero dei minibus e dei taxi, e moltissimi negozi sono rimasti chiusi anche oggi. Gente a piedi , sguardi bassi e preoccupati. A cercare di capire quante persone hanno perso la vita ieri. La conta ufficiale si ferma a ventisei. Verosimilmente molti di più. Centinaia di feriti, molti gravissimi, in ospedali spesso incapaci di garantirgli cure adatte. A cercare di capire come siano andati i fatti, quando le truppe hanno iniziato la mattanza. «Ero andato a fare compere nei suq, ieri mattina presto. Poi è iniziata la serrata dei negozi», ricorda concitato Baru, operaio in un mulino. «Sono arrivati i miltari, mi hanno spinto al muro, il khalasnikov puntato contro di me. Io ho incrociato le braccia, immobile. Accanto a me, altri soldati hanno mirato ad altri passanti, canna del mitra alla testa. Un secondo, due, poi hanno sparato. Almeno tre persone accanto a me sono state uccise così. Quando mi hanno lasciato andare via, a terra c'erano molti corpi di persone che non avevano fatto nulla».

Il governo invece, nel comunicato ufficiale sosteneva che gli scontri, e la reazione violenta delle forze di sicurezza, erano stati innescati dal tentativo di assaltare una banca. Molti testimoni oculari - anonimi - riferiscono invece che, nella zona di TekleHaymanot, all'inizio di Merkato, una delle più popolari della capitale etiope, gli scontri sarebbero stati innescati dal passaggio di una colonna di quattro carri armati con le armi puntate sulla folla. La gente, stanca della prepotenza delle varie forze di sicurezza, avrebbe reagito lanciando sassi sui cingolati.

Intanto, messi da parte i modi da leader democratico, Zenawi stringe il cerchio intorno all'opposizione. Una figura di spicco di Kinjit, Lidetu Ayalew, è da due giorni chiuso nel suo ufficio, circondato da membri dei servizi di sicurezza. «Lidetu è agli arresti domiciliari da due giorni, non può nemmeno ricevere cibo», denunciava oggi al manifesto Gizachew Chiferau, altro membro dell'esecutivo del partito. La missione dell'Ue ha condannato le scelte dell'esecutivo, chiedendo al premier di riprendere immediatamente il processo democratico.

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